Qualche mese fa mi sono comprato il Kindle. Era una cosa che avevo in mente di fare da anni e alla fine l'ho fatta, sono andato da Argos e l'ho comprato. Così ho anche scoperto come funziona Argos: quando ci entri questi negozi sono vuoti, non c'è un cazzo, solo i commessi, nessun articolo. Qual è il senso di tenere aperto un negozio senza merce? Come fanno a guadagnare? Chi paga i dipendenti se non si vende nulla? All'inizio credevo fosse una copertura per l'FBI, poi ho capito che nei centri Argos ci sono dei terminali con dei cataloghi elettronici dove puoi ordinare di tutto, dalle Playstation 4 agli spazzolini da denti, ti basta selezionare l'articolo e inviare il codice. La roba la tengono in un magazzino sul retro. Ti siedi, aspetti qualche minuto e un commesso va a prendere quello che ti serve e te lo porta. Niente caos sugli scaffali, niente tempo da perdere a cercare il reparto giusto, minimizzazione dello spazio e massimizzazione della soddisfazione del cliente. Il consumismo all'ennesima potenza. Maledizione. Dove sono finite le piccole botteghe di quartiere dei bei tempi? Quelle in cui conoscevi il negoziante, facevi due chiacchiere con lui, ti lasciavi consigliare? Be', non so dove siano finite le piccole botteghe di una volta, ma di sicuro c'è che il Kindle là non ce l'avrei trovato. Da Argos invece sì. Con il Kindle è iniziata una nuova fase per la mia lettura, e ho speso un fracco di soldi in libri. Per me comprare libri equivale al comprare scarpe per le donne, e quando hai una libreria sterminata a portata di click diventa davvero difficile trattenersi. Oh, anche le donne comprano libri, non voglio risultare maschilista. Quanti ne comprano? Be', dipende da quanti soldi gli restano in tasca dopo essere uscite dai negozi di scarpe.
Uno dei primi libri letti sul Kindle è stato "John Dies at the End" ("Alla Fine John Muore" in italiano) di Daving Wong. David Wong non è il suo vero nome. Semplicemente, a quanto pare Wong è il cognome più comune e diffuso sulla faccia della terra, ed è stato adottato come pseudonimo dall'americano Jason Pargin, classe 1970, autore di questo libro. Wong (o Pargin), è anche piuttosto celebre per aver teorizzato sulla rivista Cracked.com la sua idea di humor, battezzata con l'acronimo PWOT (Pointless Waste Of Time). L'umorismo di Wong è irresistibile, sboccato, demenziale fino all'estremo, politicamente scorretto. In un discorso in auto all'interno di "John Dies at the End" si scivola sulle dimensioni del pene. Ecco come va a finire:
"Vi ho mai detto che ho un cazzo enorme?" "Per quanto il tuo cazzo sia grande non potrà essere mai grande come il mio." "Amico, il mio cazzo è talmente grande che se avesse un proprio cazzo sarebbe comunque più grosso del tuo cazzo."
"John Dies at the End" è un horror demenziale che farà la gioia di chi ha apprezzato la "Trilogia del Drive-In" e "Bubbah Oh-Tep" di Lansdale. Lo stile di Wong è molto simile a quello dei primi lavori dello scrittore texano che in tanti ormai stimano anche in Italia, con lo stesso mix di horror, humor, situazioni al limite dell'assurdo, violenza e azione a go-go. La storia, raccontata dallo stesso personaggio di David Wong durante un'intervista a un reporter, ripercorre il passato di David e del suo amico John, e spiega come queste due inutili teste vuote siano divenute l'unica speranza della Terra contro l'invasione degli uomini-ombra, esseri di un'altra dimensione governati dal dio Korrok, che intende sottomettere il nostro pianeta. Da qui è tutto un susseguirsi di gente che crepa nelle maniere più truculente, combattimenti con mostri fuori di testa, vermetti che si introducono nelle persone e nei cani trasformandoli in schiavi, droghe aliene e viaggi attraverso lo spazio-tempo. La figura di John, cazzone sballato apparentemente buono a nulla ma in realtà vero mattatore della storia, è da applausi. Come quando, pronto a combattere una creatura ovviamente demoniaca, lega una Bibbia alla sua mazza da baseball. O come quando, avendo capito che i mostri detestano l'amore e i buoni sentimenti, crea un'arma potentissima capace di annichilirli: uno stereo portatile caricato con ballate rock anni '80. La musica gioca un ruolo portante nel libro. Ecco cosa accade quando David, seduto in auto, ascolta una canzone dei Limp Bizkit: "Dopo alcuni momenti di scariche statiche beccai una stazione radio dove c'era un uomo che apparentemente stava urlando attraverso una laringe frantumata. Dopo qualche momento realizzai che si trattava semplicemente di Fred Durst dei Limp Bizkit. I Limp Bizkit sono la band che ha inventato lo stile musicale basato sul dare in pasto un foglio pieno di frasi rap a una capra, quindi leggere quello che c'è scritto nella sua merda mentre qualcuno suona dei riff heavy-metal."
Anche gli uomini-ombra, cattivissimi, si servono della musica per i loro scopi. Manipolando la realtà a loro piacimento sono in grado di cambiare le parole delle canzoni per instillare sentimenti negativi negli esseri umani. Il razzismo, che divide l'umanità e genera l'odio di cui si nutrono, è uno dei loro strumenti preferiti. Ecco come "Losing my religion" dei R.E.M. viene stravolta mentre David la ascolta all'autoradio:
"Ooh knife plus nigger Equals you, and jews are dead meat"
"John Dies at the End" non è solo demenzialità, però. Si tratta di una storia che parla di un'amicizia indissolubile e della solitudine dei predestinati, della battaglia di David per avere una vita normale e della morte, e anche di qualcosa di peggiore della morte: la perdita del ricordo delle persone scomparse. Non voglio svelare troppo, ma a un tratto compare, solo per qualche riga, un personaggio assolutamente sconosciuto ai protagonisti. La sua storia, e ciò che ne è stato di lui, è uno dei passaggi più tristi che abbia letto di recente, e vi assicuro che Wong è altrettanto bravo a far scendere una lacrima quanto lo è a provocare una risata. "John Dies at the End" è anche la rivincita degli sfigati, dei perdenti che alle superiori sono evitati da tutti, un'epopea sgangherata di sangue, parolacce e riflessioni sulla vita che lascia assolutamente soddisfatti dopo la lettura, sperando che abbia un seguito. Be', sapete una cosa? Il seguito c'è! Si intitola "This Book is Full of Spiders: Seriously Dude, don't Touch It!", ed è tra le mie prossime letture. Consigliatissimo libro per chi ama questo genere, ci hanno fatto anche un film ma ho saputo che non è granché, quindi: leggete il libro. Buona giornata e alla prossima!
Bene, bene, l'anno nuovo è iniziato coi
controcazzi. Tra attentati, morti di personaggi illustri, casini
internazionali e scandali di casa nostra c'è poco da stare allegri,
questo non è un buon momento storico per rimanere sobri e infatti io
ci vado giù pesante di Guinness. Ho anche deciso di astenermi dallo
sport nazionale dell'infliggere al mondo la mia inutile opinione tramite
i social network, piuttosto me ne vado a Temple Bar ad ascoltare un
po' di musica irlandese che mi rilassa e mi mette in pace con il
creato. Ieri ho avuto la fortuna di assistere al concerto di questo
tizio chiamato Shaky: oltre ad avere trent'anni ed essere alcolizzato
all'ultimo stadio, Shaky ha anche vinto il contest irlandese di
violino per nove volte di fila, e se guardate il video non stenterete
a crederci. Bravo, bravo davvero. Gli ho pure offerto una birra e lui
ha suonato “Finnegan's Wake” per sdebitarsi. Grande, Shaky! Alla prossima.
Oggi parliamo di gente che conosco e
che fa cose. Mettiamo subito in chiaro un punto, visto che là fuori
è pieno di malfidenti: questo post non è una marchetta e non vuol
essere un “do ut des” nella speranza di pubblicizzare il mio
blog, io il pane me lo guadagno in altre maniere e i miei quindici
minuti di notorietà me li sono già presi quella volta in cui a
capodanno di molti anni fa rischiai di finire in questura per aver
invitato un rappresentante delle forze dell'ordine a mostrarmi le sue
abilità nell'antica arte della fellatio. Non ho quindi
particolari motivazioni per parlare di queste cose fatte da queste
persone, tranne il fatto che son persone che in qualche modo ho
l'onore di conoscere e fanno cose che ritengo meritevoli. Alcune di
loro le conosco da tanto tempo solo tramite Internet, con altre ci ho
passato tante di quelle sere al pub da averne ormai perso il conto. È
gente che non sta ferma, che crea cose e ne progetta altre, che non
guarda i programmi di Barbara D'Urso e non televota nei reality-show,
gente che secondo me ha una bella testa e soprattutto condivide ciò
che fa con il mondo. Vi pare poco, in questa società dove il selfie
è stato elevato a forma d'arte e gli status di facebook
rappresentano il massimo dell'espressione comunicativa? E allora dai,
date un'occhiata a queste cose fatte da questa gente. Sono sicuro che
ognuno potrà trovarci qualcosa di interessante.
La
prima cosa di cui voglio parlarvi è una bella iniziativa di
Gelostellato. Gelo lo conosco da tempo immemore, anche se ci siamo
incontrati solo una volta, siamo cresciuti sgomitando assieme su
leggendari forum di scrittura come quelli di LatelaNera, Scheletri e il forum della mai troppo compianta edizioni XII. Gelo ha una gran passione
per la lettura, e sul suo blog crea spesso iniziative per
promuoverla. La sua ultima trovata sono i libri PEM, una lista collettiva stilata dai frequentatori del
suo blog per individuare i cento libri che vale la pena leggere per
diventare persone migliori, libri che arricchiscono e insegnano, che
ci cambiano, che ci rendono migliori. Sul blog si possono commentare
i libri e votarli per farli salire in classifica, se avete un
classico che vi è rimasto nel cuore o un libro poco conosciuto che
credete debba assolutamente essere letto è questa la vostra
occasione, alla fine vedremo quanti dei venti libri PEM da voi
indicati ce l'avranno fatta a essere tra i primi cento. Non è una
bella iniziativa? A me piace.
La
seconda persona che fa cose è invece un amico proprio stretto, quasi
un fratello, che sul suo Art Covers Me posta i suoi lavori e i suoi
pensieri, ugualmente apprezzabili. Giulio Perozziello è un giovane
disegnatore dal sicuro talento e dalle grandi potenzialità, che ha
collaborato con edizioni XII in qualità di artista per i racconti
vincitori delle prime edizioni dell'instant-contest letterario Minuti Contati. Ha anche disegnato la copertina del mio per ora unico romanzo, mandato in pasto alla rete ormai quasi tre anni fa. A
distanza di tempo quel disegno mi piace ancora, lo trovo molto
evocativo e ben rappresentativo dell'atmosfera del libro. Poi Giulio
si è evoluto e infatti sul blog ci trovate anche sue cose più
recenti, come quel samurai con in mano la rosa che secondo me è
spettacolare. Check it out!
La
terza cosa meritevole è Librogamecreator 3, creato e migliorato negli anni da Matteo
Poropat, un'altra mia vecchia conoscenza dei forum di scrittura.
Sapete cosa sono i librigame? Ci avete mai giocato? Io sì, quand'ero
più giovane, e ce ne sono due che mi sono rimasti nel cuore: si
tratta de “La casa infernale” e de “La creatura del male”,
pubblicati come decine di altri da Edizioni El nella collana
“Librogame”. I librigame sono libri che contengono avventure
basate su una storia lineare che presenta incroci, svolte
inaspettate, scelte che il lettore deve fare, combattimenti
all'ultimo sangue contro ogni genere di creatura e finali multipli a
seconda di quali scelte si prendono. Per giocare si deve essere
muniti solo di dadi, usati perlopiù nei combattimenti, ogni pagina
contiene stralci di trama ai quali si salta a seconda di quale
direzione si prende. Ad esempio: “Incontri Fabio Volo che sta
portando il suo nuovo manoscritto dal suo editore. Se vuoi dargli un
passaggio e assicurarti che il libro veda la pubblicazione, vai a
pagina 34. Se invece vuoi risparmiare all'umanità quest'ennesima
orchite aggredisci Fabio Volo e tira un dado. Con un punteggio da 1 a
3 gli ruberai il manoscritto e salterai a pagina 61. Con un punteggio
da 4 a 6 Fabio si incazza e ti attacca, e devi difenderti! Corri a
pagina 48!” E così via. Il librogame è un libro interattivo che
racconta una storia a cui il lettore partecipa nelle vesti del
personaggio protagonista, si può crepare in un sacco di modi e ce ne
sono per tutti i gusti, dall'horror al fantasy, dalla fantascienza ai
mondi post-apocalittici e così via. Il programma di Matteo ci
permette di creare un nostro librogame in tutti i suoi aspetti,
inclusi la storia, le mappe, i vari bivi, e di esportarlo in diversi
formati. C'è di che divertirsi a smanettare con Librogamecreator3, e
se considerate che è anche gratuito (potete lasciare una donazione a
Matteo sul suo sito se volete) be', il gioco è fatto.
Ora
passiamo invece a parlare di Manuel Crispo, amico e
compagno di sbronze da un bel po' d'anni. Manuel è un accanito
lettore e uno scrittore decisamente sopra la media, con un bagaglio
lessicale di tutto rispetto, una sensibilità spiccata e un humor
politicamente scorretto come piace a me. L'anno scorso ha aperto il
blog di Don Cristo dove ha pubblicato questa storia allucinata,
blasfema e divertentissima che ha come protagonista Gesù. Siamo a
Gerusalemme nell'anno 30 D.C. e Don Cristo è il padrino di una
famiglia mafiosa che gestisce vari racket. Spalleggiato da alcuni
sgherri, Don Cristo deve affrontare una guerra contro la
famiglia rivale di Ponzio “Mani Pulite” Pilato. Da qui iniziano
una serie di avventure sopra le righe che coinvolgono tutti i
personaggi del Nuovo Testamento, rivisitati in chiave “Goodfellas”.
Giuseppe l'Evangelista è un sicario con le rotelle fuori posto che
non riesce a limitarsi con le teste di cavallo lasciate nei letti dei
nemici, Giuda il classico picciotto che fa il doppio gioco, Matteo un
apostolo che ci sa fare con le donne e con le parole, Lucifero un
giovane bellissimo dallo stile impeccabile. La storia è davvero
divertente e si legge che è un piacere, io l'ho quasi finita. Potete
leggerla sul blog di Manuel o meglio ancora scaricare l'ebook Don Cristo e altri racconti.
Altro
giro altra corsa. Umberto Parisi, oltre a essere un bravissimo
musicista, è anche un grande appassionato di retrogaming, cioè di
quelle console e videogames che oggi definiremmo “antichi” e che
tante ore di divertimento ci hanno regalato quando eravamo ragazzini.
Non provate a dire che è roba sorpassata, perché lo so che vi si
bagnano gli occhi ogni volta che ripensate a Wonder Boy e a Golden
Axe, brutti nerd che non siete altro. Umberto ha un canale Youtube
dove parla di retrogaming chiamato “Gli Psychotronici”, ma
soprattutto sta lavorando a un'avventura grafica in stile Monkey
Island dal titolo “Call of Cthulhu – Chronicles of Innsmouth”
che promette di essere una gran cosa. Qui di seguito un video di
presentazione del gioco, spero davvero che lo porti a termine perché non vedo l'ora di giocarci.
Ultima
segnalazione per La stanza delle grida di Simone Lega, anche
lui vecchio amico conosciuto sui forum di scrittura. Lessi questo racconto
horror una vita fa, ma lo ricordo ancora benissimo e vi assicuro che
è di una morbosità e di una raffinatezza squisite, un piccolo
capolavoro che getta uno sguardo assolutamente nuovo sul tema della
vita dopo la morte. Non è l'unico bel racconto di Simone che
ricordo, ce n'erano tanti altri e vi assicuro che questo ragazzo sa
scrivere. Tenetelo d'occhio.
Bene,
questo piccolo post dai molti link termina qui. Fidatevi dei miei
consigli e date un'occhiata a queste cose, ché al mondo c'è bisogno
di roba bella e di animi appassionati, c'è bisogno di idee e di
sfide, di gente che fa invece di disfare. Non ho incluso tutti, ma ci sarà probabilmente un altro capitolo. A presto e buon proseguimento!
Ciao, questo post è per te che stai
pensando di andare a cercar fortuna all'estero. Sì, proprio tu che
hai sentito parlare di questa fantomatica “gente che emigra” e ti
sei fatto delle idee a riguardo, ci vorresti provare ma sei dubbioso,
hai un po' di paura, non sai bene cosa decidere. Ci rimugini su,
guardi qualcosa su Internet, cerchi pareri. Mi sembra di vederti, al
di là dello schermo: hai tra i venti e i quarant'anni anni, sei
probabilmente laureato, ti ingegni per sbarcare il lunario e non hai un lavoro che ti
permette di essere indipendente. L'Italia non è che offra troppo in
questo periodo, anche la situazione globale è quella che è, la
gente s'arrangia a campare e il futuro sembra piuttosto incerto. I
tuoi, loro hanno vissuto in un periodo diverso, il periodo in cui ci
si poteva permettere di pagare il mutuo e la pensione era più o meno
sicura, le fabbriche assumevano, ci si comprava la macchina, ci si
concedeva qualche lusso, non c'era l'euro, la maggior parte dei contratti di lavoro
era a tempo indeterminato e un'attività
individuale rappresentava un investimento abbastanza sicuro. Certo,
hanno lavorato un sacco e hanno fatto tanti sacrifici, ma sudando
hanno costruito qualcosa, qualcosa che oggi sembra così difficile,
quasi impossibile per alcuni. E tu continui a sentire di questi che
se ne vanno, pensi che siano pazzi o coraggiosi, qualcuno di loro lo
conosci anche di persona e ogni tanto lo contatti, gli chiedi com'è
e lui ti dice che è meglio. Te ne vuoi andare, anche solo per un
periodo breve, anche solo per vedere di persona se è vero, se ce la
puoi fare, ti vuoi mettere alla prova.
Sì, ma se poi fallisci? Che succede?
Ecco, ti voglio subito tranquillizzare
su questo primo aspetto. Se fallisci non succede niente. Non stai
andando in guerra, non stai partendo per un altro pianeta, non ti
stai recando a esplorare territori non civilizzati. Il massimo che ti
possa accadere è di non raggiungere l'obbiettivo che t'eri posto, e
in quel caso torni a casa e stop. Avrai speso qualche soldo, ma
quello devi metterlo in conto. Nessuno ti chiamerà “fallito”, e
quelli che lo faranno non ne avranno titolo. Questa cosa, se la vuoi
fare, riguarda solo te. E non ci sono dei punteggi da totalizzare,
non c'è qualcuno a cui rendere conto. Se lo decidi te ne assumi
tutte le responsabilità, e sei quindi l'unico che potrà tirare le
somme alla fine. Ci siamo capiti? Bene, rilassati adesso, ché mi
sembri una cazzo di matricola universitaria al primo esame della
facoltà di medicina.
Tra Londra e Dublino, ragazzo mio, sono
quasi due anni che vivo e lavoro all'estero. Non è sempre facile e
non è sempre bello, è una vita totalmente diversa da quella che
facevo in Italia ma mi permette di pagarmi l'affitto, comprarmi
quello che mi serve, bere quanto voglio, fare qualche viaggio e
sentirmi tutto sommato a posto con me stesso. Ho pure degli amici,
conosco gente, faccio cose. Non ti dirò che vivo un sogno, perché
non è vero. Faccio la vita normale di un ultratrentenne. Quella che
non potevo permettermi di fare in Italia, perché con la mia laurea
in lingue e letterature straniere mi ci sarei potuto pulire il deretano e non mi andava di
lavorare tutta la vita nei call center per trecento euro al mese o
svegliarmi sei mattine su sette alle due e mezza per scaricare cassette
di frutta ai mercati generali, certi mestieri li ho fatti per un
certo periodo e ho deciso che non volevo farli più. Santi in
paradiso non ne ho, e se anche ne avessi avuti non avrei chiesto
favori. Ho preso e me ne sono andato. Due volte. Ti spiego, senza
pretendere di essere un maestro di vita, come puoi muoverti se vuoi
provarci anche tu.
Primo: chiediti se ne vale la pena.
Cosa lasci in Italia? Un lavoro decente? Una ragazza? Delle
possibilità di carriera? Degli studi non completati? Se hai delle
cose in ballo il mio consiglio è di risolverle, non vuoi partire con
dei rimpianti che ti appesantiranno durante un periodo che si
preannuncia già difficile. Non tutti sono costretti a partire, l'Italia è
piena di gente che si riempie la bocca di frasi tipo “ormai non ci
resta che emigrare”, “il governo fa schifo, devo andarmene da
qua”, “basta, tra un anno io sto a
Dublino/Berlino/Londra/Parigi/Madrid/Amsterdam ecc”. Sai una cosa?
La maggior parte di loro non prenderà mai quell'aereo. Il parlare di
andarsene è un'evasione mentale che si concedono ben sapendo di
avere tutte e due le scarpe piantate in Italia, fanno castelli in
aria come io potrei dire che prima o poi mi tromberò Eva Green.
L'Italia offre anche delle possibilità a chi ha il curriculum
giusto, non scartare a priori il tuo paese. Prendi in considerazione
l'idea di partire solo se sei infognato qui senza una via d'uscita o
se vuoi concederti un periodo di vita all'estero senza troppe
pretese, oppure se sai che all'estero avrai concretamente più
possibilità nel tuo campo lavorativo. Se hai meno di trent'anni fare
il barista o il cameriere a Londra per dieci ore al giorno non ti
ucciderà. Ma se ne hai di più forse è meglio che ti concentri su
altre opzioni, ché a mio parere quella non è una vita adatta a chi
si vuole costruire un futuro.
Secondo: non dar retta a nessuno.
Nemmeno a me, non del tutto
almeno. Sentirai e leggerai pareri assolutamente discordanti riguardo
le esperienze all'estero. Ci saranno quelli che ti diranno che è un
inferno e quelli che sono invece entusiasti, ci saranno perfino
quelli che non si sono mai mossi dal bar sotto casa e che pretendono
di sapere come vanno le cose per sentito dire o perché leggono
qualcosa su Internet.
“Lascia perdere,
il gioco non vale la candela.”
“Che fai ancora
in Italia? Vieni qui, si vive da Dio!”
“Ma dove cazzo
vuoi andare? Ma lo sai che anche lì c'è la crisi?”
“Qui sono
diventato ricco!”
“Il mese
prossimo torno. Non posso più pagare l'affitto.”
“Mi sono appena
comprato la casa. In Italia non riuscivo neanche a pagare le
bollette.”
“Il
cognato di un mio cugino di sesto grado ci ha provato. È
finito a dormire in un cartone per strada e a combattersi il cibo coi
cani randagi.”
'Fanculo.
Sul serio, amico, mandali a fare in culo. Non chiedere, non fidarti,
vai dritto per la tua strada. Non è vero che all'estero tutti fanno
i camerieri, non è vero che la crisi è uguale dappertutto, non è
vero che si riesce a malapena a far quadrare le spese. Ogni persona
avrà una storia diversa da raccontare, perché ci sono in gioco così
tanti fattori e così tante variabili da rendere perfettamente
inutile confrontare le esperienze. Lavora su te stesso, preparati,
rifletti. Parti dal prenotare il biglietto aereo e l'ostello. Fallo almeno tre mesi
prima, così li pagherai di meno e in più ti darai una scadenza e
avrai il tempo di organizzarti, è il primo passo per andarsene sul
serio. Se hai deciso, non rimandare. Un bel respiro, il sito di una
compagnia low-cost e via, hai già iniziato.
Terzo:
scegli bene la destinazione. Londra non è Dublino, Berlino non è
Madrid e Praga non è Stoccolma. Scegli la città in base a quel che
pensi che potrà offrirti, documentati sull'offerta di lavoro che c'è
per stranieri, sul welfare, sulle attuali condizioni economiche, sul
tasso di disoccupazione, sul costo della vita rapportato agli
stipendi. In questo Google sarà un prezioso alleato, non andare allo
sbaraglio. Spulcia i siti governativi e informati sui permessi che ti
servono per lavorare, contatta le ambasciate, inizia a sondare il
terreno rispondendo a qualche annuncio d'impiego.
Ti
sei già rotto il cazzo, vero? E non sei nemmeno partito. Te lo
voglio dire, fratello, sarà dura all'inizio. Quindi fai così:
visualizza la scena iniziale di Full Metal Jacket, hai presente? Devi
avere il sergente Hartmann che ti urla nella testa ventiquattrore su
ventiquattro sette giorni su sette, devi ripeterti il suo monologo
allo specchio, al cesso, prima di andare a dormire. Non c'è altro
modo. Fidati, lui ti aiuterà.
Quarto:
il budget. Duemila euro sono il minimo. Risparmiali, mettili da
parte, ti serviranno per i primi tempi. Molto probabilmente il lavoro
non sarà lì ad aspettarti quando arrivi e per un certo periodo
sarai disoccupato, intanto dovrai comunque mangiare, spostarti, avere
un tetto sopra la testa. I soldi vanno via con una velocità
impressionante quando sei all'estero e cerchi ancora un impiego, devi
essere sicuro di poter contare su un budget che ti permetta di poter
restare almeno un paio di mesi. Parti solo quando hai abbastanza
soldi. Puoi fare un progetto a lungo termine mentre sei ancora in
Italia, sulla base del tempo che ti serve per mettere insieme il
capitale. Se sei all'estero e non hai ancora un lavoro non sprecare
denaro, gli sfizi te li toglierai appena inizierai a guadagnare. Se
non hai una base economica decente rimanda la partenza. Rischieresti
di restare troppo poco tempo, e il tempo è ciò che ti serve per
avere successo.
Quinto:
i tempi duri. E daglie. Inizio a starti antipatico, vero? Ma lo
faccio per il tuo bene, per prepararti a quel che ti aspetta. Ne ho
vista di gente arrivare qui con la voglia di spaccare il mondo e
tornarsene a casa davanti alla prima difficoltà, non voglio che
succeda anche a te. Quindi, spalle larghe e preparati a sopportare il
clima freddo dei paesi del nord Europa (sì, è lì che di solito c'è
il lavoro), preparati a dormire poco e mangiare male, a contarti gli
spiccioli per non restare in bolletta, a camminare fino a consumarti
le suole. Preparati all'inevitabile solitudine dei primi tempi e alle
telefonate con tua madre che ti faranno star male, alle noie
burocratiche e alle porte sbattute in faccia, alle giornate in cui
non sei riuscito a muoverti di un passo e ti sembra di non avere
nessuna chance. Devi essere forte, perché questa non è una vacanza.
Se sei fortunato avrai una ragazza che è partita con te e vi
dividerete il peso di questi giorni, oppure un amico che è già lì
e ti aiuterà ad ambientarti. Ma se vai da solo non avrai che te
stesso, ed è su te stesso che dovrai contare. Ce la farai, non è
una cosa impossibile, ce la fanno in tanti. E poi, lo sai cosa viene
dopo i tempi duri? I tempi migliori. Quindi preparati a lottare, ma
resta positivo. Sorridere delle piccole avversità che ti capiteranno
ti aiuterà ad avere uno sguardo diverso nei confronti di tante cose.
Sesto:
la lingua. A Londra, se lavori nella ristorazione, non avrai bisogno
di essere fluente nella lingua d'Albione. In Irlanda le compagnie
come quella per cui lavoro ti fanno passare attraverso vari test e
colloqui telefonici in inglese prima di chiamarti per l'interview
faccia a faccia. In Germania si parla perlopiù tedesco, sappilo.
Pare che in Francia parlino il francese e in Spagna lo spagnolo. Non
pensare di potertela cavare ovunque tu vada con quattro parole
stentate in inglese, non è vero. La conoscenza della lingua sarà
fondamentale per la tua riuscita, a meno che tu non cerchi un lavoro
dove ti comandano a gesti. Se sai di non essere fluente prima di partire considera la possibilità di frequentare un bel corso di
lingua straniera, sono soldi spesi benissimo e ti darà molte più
chance di successo, la gente nei paesi esteri si aspetta che se tu
sei lì parli la loro lingua. Anche nei rapporti sociali vale lo
stesso. Non ti illuderai che le ragazze si innamorino della tua bella
faccia, spero. Ci devi parlare, o sarai sempre tagliato fuori.
Costruisciti una base linguistica, poi la migliorerai stando lì. Se
parli male anche l'italiano resta a casa e iscriviti a una scuola
serale.
Settimo:
il curriculum e i colloqui. Manderai tonnellate di curriculum e
passerai i primi tempi a fare colloqui. Questa è già una buona
cosa, perché all'estero almeno ti chiamano per le job interview.
Fatti un esame di coscienza e rifletti su quali skills puoi offrire.
Se cerchi un lavoro generico come barista, cameriere o lavapiatti
Londra andrà benissimo, se invece hai qualifiche in settori più
specifici potrai guardare quale paese richiede figure professionali
come la tua e decidere di conseguenza. Prepara un bel curriculum
chiaro, conciso e onesto, informati se il paese di destinazione
accetta i CV in formato europeo o UK, scrivi una lettera di
presentazione in cui parli di te e di quello che credi ti renda
adatto per il lavoro. Non sparare cazzate nel curriculum, perché
molto spesso controllano le referenze. Studia il tuo CV e imparalo
come l'Ave Maria, sii convinto delle esperienze che hai menzionato,
non mostrare incertezze quando ti siedi di fronte al tuo potenziale
datore di lavoro. Vestiti bene quando fai il colloquio, con la
cravatta, sorridi, mostrati entusiasta e fai capire che sei lì
perché il lavoro lo vuoi, non tanto per provare. Informati sul posto
di lavoro e sulla compagnia che lo offre e mostra di conoscerli,
discuti, fai domande, rilancia il discorso. Non è un'interrogazione
a scuola, è un dialogo e vogliono vedere che sei intraprendente.
All'inizio avrai paura, ma dopo un paio di colloqui sarai okay. Il
primo rifiuto non deve buttarti giù, è normalissimo, ma con
costanza e un po' di fortuna riuscirai, te lo assicuro. Ti incollo
qui qualcosa che potrà servirti.
Ottavo:
la casa. Dovrai vivere da qualche parte, lo sai vero? E lo sai che
non ci sarà la mammina a portarti il lattuccio in camera e a
cucinarti la pasta al forno, i panni non si laveranno da soli e i
pavimenti non si puliranno per magia. Condividerai la casa con altre
persone, e il più delle volte odierai questa cosa. Bagno in comune,
cucina in comune, regole da rispettare, spazzatura da portar fuori:
sono tutti cazzi tuoi, non si scappa. O così o niente, ragazzo,
perché dubito che tu possa pagare ottocento o mille euro al mese per
un appartamento singolo. Ti toccherà cercarti una casa, e in
quest'ambito troverai quasi più concorrenza che nel lavoro, ovunque
tu vada, perché ormai emigrano tutti e la domanda di alloggi è così
alta che i proprietari possono permettersi di scegliere a chi
affittare. Il consiglio è quello di spulciare più volte al giorno i siti di annunci di
affitti e prendere più appuntamenti possibile, portarti dietro il
denaro cash e bloccare la stanza nel caso ti piaccia. Tieni presente
che il primo mese dovrai pagare doppio: un mese di affitto anticipato
e un altro mese di caparra, quindi torniamo al discorso del budget.
Non prenotare e non dar soldi a nessuno mentre sei ancora in Italia,
ci sono truffe famosissime a riguardo. La casa la devi vedere con i
tuoi occhi e la persona che te la affitta deve ispirarti fiducia. Da
come vivrai in questa casa dipenderà l'ottanta percento della
tranquillità della tua vita all'estero, dunque scegli bene. Cerca di
trovare una zona non troppo costosa ma ben collegata al centro, cerca
di capire con che gente andrai a vivere, informati sulla durata del
contratto, sulle spese aggiuntive (internet, luce, riscaldamento
ecc.), e fa' la scelta che ti sembra migliore. Se non trovi subito
ciò che ti sembra fare al caso tuo arrangiati. Io ho dormito per
quasi un mese su divani e in stanze di altre persone, ospitato dal
buon cuore di gente che ho conosciuto qui. L'ostello è caro, non
vuoi starci per più di una settimana.
Bene,
ti sembra difficile, vero? Scommetto che ti è già passata la
voglia. Vivere all'estero non è una favola, e prima di costruirsi
una quotidianità decente passerà del tempo. Ma quando ce l'avrai
fatta credimi, non vorrai più tornare indietro. Amerai la tua
indipendenza e conoscerai tanta gente, imparerai a venir fuori da
qualsiasi situazione e crescerai tanto, guadagnerai più soldi e
potrai fare cose cui prima nemmeno ti permettevi di pensare, migliorerai come persona, sarai più forte e scoprirai
culture diverse dalla tua con le quale ti piacerà confrontarti.
Ricorda: non sei obbligato ad andare in un altro paese, e se lo fai
puoi tornare quando vuoi. Ma se lo fai fallo con la coscienza di
vivere un'esperienza che sarà unica, pronto ad affrontare le
difficoltà e a godere di ogni singolo momento positivo che la vita
ti regalerà, consapevole che questi giorni non torneranno. La tua
città sarà sempre lì ad accoglierti, ma intanto stai vedendo il
mondo. Se dopo questo articolo ci stai ancora pensando, forse sei
sulla strada giusta. Io faccio il tifo per te, perché ti conosco, so
cosa vuol dire vedere l'estero come ultima possibilità e quanto sia
difficile reinventarsi da zero quando hai davanti un vicolo cieco.
Buona fortuna, ragazzo. Fammi sapere come va. Brindo alla tua, e
spero che un giorno, ovunque tu vada, possa essere felice.
Oh, ieri sera mi sono divertito. Dopo
nove ore di lavoro me ne sono andato prima in palestra e poi in
centro, ho mangiato junk food e poi mi sono ficcato al sempre mitico
Gypsy Rose per farmi una santa bevuta. Di sotto suonavano questi tre
brutti ceffi di Cork chiamati Crow Black Chicken: southern rock
sporchissimo, camicie da boscaioli e barbe da rednecks, una band
fenomenale. Pieno così di gente, fan con le loro magliette, prima di
loro un vecchio bluesman che suonava una chitarra costruita con i
pezzi di una credenza e batteva il tempo su una grancassa ricavata da
una valigia. Cristo, mi sono detto, la serata promette bene. E
infatti i Crow Black Chicken hanno spaccato il culo ai passeri,
offrendo un concerto che valeva ognuno degli otto euro spesi per
vederli.
Dopo lo show è arrivato il dj a
mettere su le canzoni metal, ed è stato allora che, particolarmente
di buon umore e forte di un fascino direttamente proporzionale
all'alcol ingerito dalla popolazione femminile presente in loco, sono
riuscito a rimediare una sfitinzia la quale, nella migliore
tradizione irlandese, si è rifiutata a più riprese di rivelarmi il
suo nome. Ho anche rivisto il mio amico Chris, che non avevo ancora
beccato dal ritorno a Dublino, e abbiam tirato tardi nonostante la
mia stanchezza mortale derivante dall'aver passato circa
ventiquattr'ore fuori casa dedicandomi ad attività esecrabili. L'età
avanza, ragazzi, ma si tiene botta. Un paio d'anni di questa vita e
mi rottamano senza incentivi, ma nel frattempo me la godo.
Oggi vi parlo di tre libri molto belli.
Un genere letterario che mi ha affascinato ultimamente è quello che
parla di gangsters. Non dei super boss come Al Capone o Pablo
Escobar, quelli che dettano le regole del gioco e detengono il potere
di enormi organizzazioni criminali, quelli che scatenano guerre e
stringono alleanze, che corrompono politici e fanno un sacco di
soldi. No, i gangsters che mi interessano di più sono i soldati
semplici, i sicari, quelli che le regole della malavita le subiscono
e le guerre le combattono in prima persona, quellli che le mani se le
sporcano sul serio e finiscono spesso per diventare famosi senza però
raggiungere i livelli più alti della piramide alimentare. Gente come
Salvatore “Sammy Bull” Gravano, che iniziò come ladruncolo e
pugile da strada fino a diventare la guardia del corpo del boss Joe
Colombo negli anni '60 e un affiliato della famiglia Gambino, o come
Joseph “The Animal” Barbosa, chef sopraffino con tanto di diploma
in French Cuisine e sicario al soldo della mafia del New England.
Gentaglia, sia ben chiaro, uomini da non ammirare e da assicurare alla
giustizia, ma figure in qualche modo interessanti che sembrano uscite
dalle pagine dei libri o dalle sceneggiature dei film. E di questi
personaggi molti libri sono pieni. Oggi ve ne presento tre.
Il primo romanzo di cui voglio parlare
è Così si muore a God's Pocket di Peter Dexter.
Trama: Leon è un giovane pigro e
scapestrato che passa da un impiego all'altro senza alcun successo,
un fallito che si dà arie da ribelle, un figlio irrispettoso nei
confronti della madre. Lavora come muratore in un cantiere; “lavora”
per modo di dire, visto che arriva sempre tardi, non si impegna e si
permette pure di rispondere male ai colleghi più anziani e perfino
al caposquadra. Un giorno, tanto per fargli capire come va il mondo,
lo fanno secco lì nel cantiere, fracassandogli la testa. È
un errore, un momento di poca lucidità, un gesto istintivo compiuto
dal vecchio e pacifico Lucy, l'uomo più buono e tranquillo del
mondo. Lucy perde le staffe per un secondo e Leon è morto. Qualcuno
lì al cantiere monta un incidente per insabbiare il tutto, ma
due persone non sono convinte che sia andata così. Una è l'ambiguo,
depresso e disilluso reporter Richard Shelburn, che ha fiutato lo
scoop. L'altra è Jeanie, la madre di Leon. Jeanie coinvolge nella
ricerca della verità il suo compagno, Mickey Scarpato, il quale si
ritrova suo malgrado immischiato in una storia di cui avrebbe
volentieri fatto a meno. Sì, perché Mickey ha già i suoi problemi:
per lavoro si occupa di rifornire di carne vari posti, e quello è un
racket che appartiene alla Mafia, con cui Mickey ha inevitabilmente
dei contatti. Mickey è un brav'uomo, di quelli tutto cuore e niente
cervello, e per aiutare la sua donna a far giustizia sulla morte del
figlio si metterà nei casini, finendo a girare coi gangsters e
ritrovandosi dritto nel mezzo di faide e regolamenti di conti
Commento: inizio col dire che Dexter è
stato per me una felice scoperta, uno scrittore di quelli che sanno
raccontare senza la voglia di sorprendere a tutti i costi, il
classico autore che se ne sta “dietro le quinte” del romanzo
lasciando che i personaggi e la trama procedano da soli, senza
acrobazie stilistiche o digressioni di alcun tipo. Dexter non ti fa
la morale, non pretende di dare un senso a ciò che accade nei suoi
scritti e non giudica. Dexter mette i fatti nero su bianco,
dall'inizio alla fine, prende un plot semplice e lo trasforma in uno
specchio che riflette la vita. La morte del ragazzo in questo libro è
solo l'inizio di una storia che ci aiuta a gettare uno sguardo
sull'animo umano, soprattutto su quella parte di esso che a volte è
così nascosta da apparire insondabile, indicibilmente privata. C'è
l'amore ostinato di una madre per un figlio che nessuno oltre a lei
ha mai amato, e c'è la voglia di rivalsa di un giornalista da
quattro soldi che si è incattivito col mondo e beve per dimenticare
se stesso. C'è la testarda cocciutaggine da mulo di Mickey, che
cerca di vedere la vita come un insieme di semplici regole che però
gli sfuggono di mano, e c'è la riflessione del vecchio Lucy sulla
sua colpa, una colpa che né Dio né gli uomini hanno il diritto di
giudicare. C'è anche tanto humor, tanti dialoghi che fanno ridere e
tante botte, c'è il mondo grossolano, ottuso e in fondo anche comico
dei mafiosi italoamericani, ci sono una vecchia cazzutissima e un
killer mandato a fare un lavoro sporco. Attraverso questi personaggi
Dexter tratteggia uno scorcio di provincia americana con grande
onestà, mettendo gli uomini e le donne sotto la lente di
ingrandimento e mostrandoceli per quello che sono, con le loro
debolezze, i loro difetti e le loro angosce. Non ci sono eroi a God's
Pocket. Solo gente normale. Quella che in fin dei conti affascina
sempre.
Il libro scorre via che è un piacere e
si divora come una buona portata che alla fine ti lascia soddisfatto
anche quando hai ormai lavato il piatto e 'hai riposto nella
credenza. Questo è il romanzo d'esordio di Peter Dexter come
scrittore. Recentemente ne ho comprato un altro che devo ancora
iniziare, ma mi aspetto grandi cose.
Il secondo romanzo è Ballata irlandese
di Adrian McKinty, autore nato a Belfast, che con questo romanzo si
presenta al pubblico italiano grazie alla BUR che lo traduce per la
prima volta nella lingua di Dante.
Trama: L'anno è il 1992. Michael è un
ragazzo ventenne che vivacchia nella grigia Belfast grazie a qualche
lavoretto e al sussidio di disoccupazione. Un giorno fa una cazzata e
deve lasciare il paese, prende un aereo e atterra a New York, dove il
cattivissimo boss Darkey White gli offre un lavoro come scagnozzo
nella Irish Mob, la malavita irlandese. Michael instaura fin da
subito un rapporto conflittuale con il suo capo, basato tanto sul
rispetto e l'ammirazione quanto sulla voglia di fargli le scarpe (e
le corna), cosa che lo porterà a trovarsi nei guai. Michael è
convinto di essere un duro, e perdipiù un furbo, si mette in testa
di farsi strada fino ai vertici dell'organizzazione e inizia a salire
i gradini della gerarchia. Ma Darkey, neanche lui è uno stupido, e
si prenderà la sua vendetta. Per Michael inizierà un incubo che lo
precipiterà nell'inferno del Messico, dal quale per uscire vivo
dovrà lottare con le unghie e i denti, perdendo la sua anima e anche
qualcosa di più.
Commento: se avete amato The
Departed di Martin Scorsese qui troverete quelle stesse atmosfere,
lo stesso mondo della mafia irlandese e le stesse guerre tra gang che
insanguinavano le strade americane negli anni '90. McKinty ci mostra
tutto questo attraverso gli occhi dell'ultima ruota del carro di
un'organizzazione che combatte a suon di bombe e pallottole per
conquistarsi la sua fetta di territorio a New york, e lo fa con uno
stile duro e veloce che non lascia spazio a momenti di tregua né a
cadute di tono. Essenziale, la scrittura di McKinty dipinge con crudo
realismo il microcosmo degli irlandesi trapiantati in America e
inglobati nel mondo del crimine, con uno sguardo attento tanto alle
regole della “famiglia” quanto allo squallore della vita di
Michael, costretto a iniziare la sua avventura negli USA dal
pidocchioso monolocale che Darkey gli ha trovato. È
una storia che parla di ambizione e violenza, di voglia di riscatto e
bestialità, di un amore impossibile e di un fato già scritto. La
parte centrale ambientata in Messico è onestamente un capolavoro di
thrilling e inumanità, non svelo troppo ma vi ritroverete a soffrire
con Michael e a mordervi le labbra assistendo ai suoi disperati
tentativi di salvarsi la vita e tornare in America. Un libro che, a
differenza di quello di Dexter, si concentra totalmente sul
personaggio principale, ma che in comune con Così si muore a God's
Pocket ha la schiettezza di raccontare una vita destinata al
fallimento senza moralismi né pretese di profondità. La storia nuda
e cruda, com'è giusto che sia. Pollice in su per McKinty, del quale
iniziano ad essere tradotti in italiano altri lavori.
Terzo e ultimo
libro è L'inverno di Frankie Machine, di Don Winslow.
Trama:
Frankie Machine ha sessantadue anni. Gestisce un negozio di esche sul
molo di San Diego, fa surf e si tiene in forma, ha una figlia
all'università, una ex moglie e una fidanzata molto più giovane di
lui. Ha anche degli amici, non molti, ma gente con cui ogni tanto può
scambiare due chiacchiere. Ma soprattutto Frankie Machine ha un
passato come killer della Mafia, un passato che ritorna nonostante
lui abbia cercato seppellirlo. Frankie viene contattato per risolvere
una lite tra famiglie rivali, e non può rifiutare. Mentre fa questo
scopre che qualcuno lo vuole morto, e per salvarsi la vita dovrà
tornare a essere Frankie “La Macchina”, in una partita in cui in
gioco ci sono la sua vita e quella delle persone a lui vicine.
Commento:
Don Winslow lo conoscete, vero? Se non lo conoscete è un guaio
ragazzi, perché Winslow scrive da dio. Winslow è duro come un pezzo
d'asfalto e sa essere freddo come la carne dei cadaveri di cui
dissemina i suoi romanzi, ha una conoscenza sterminata del mondo del
crimine e la dimostra tratteggiando personaggi che più che da un
libro sembrano usciti direttamente da una cella di prigione. I libri
di Winslow non li puoi mollare, devi finirli in poche ore, e questo
non fa eccezione. L'inverno di Frankie Machine ci risucchia in una
spirale di antichi odi e nuovi conflitti, dal quale questo vecchio
addestrato per uccidere dovrà uscire grazie al suo cervello, al suo
istinto e alle abilità acquisite facendosi le ossa come scagnozzo e
sicario. Il romanzo è un alternarsi di narrazione al presente e
flashbacks della gioventù malavitosa di Frankie, con picchi di
ferocia che colpiscono come pugni nello stomaco. La Mafia americana,
quella vera, quella che non perdona e agisce secondo schemi
consolidati nei secoli, è tratteggiata fin nei minimi particolari
attraverso lo sguardo e i ricordi di chi l'ha vissuta per gran parte
della sua esistenza con in mano una pistola, un gregario che a suon
di lavori sporchi è diventato una leggenda vivente. Ma Frankie non è
più quello di una volta, Frankie oggi vorrebbe solo starsene
tranquillo. Il contrasto tra l'uomo che è diventato e quello che era
e che deve tornare a essere emerge in tutta la sua drammatica
difficoltà nel corso delle pagine di questa storia cupa e in qualche
modo epica, dando vita a un piccolo capolavoro che lascia
assolutamente soddisfatti e si piazza a pieno titolo tra i capisaldi
del genere. Questo è stato il primo romanzo di Winslow che ho letto,
altri hanno seguito. Consigliatissimo, un must se se vi piacciono il
genere hard boiled e le storie di gangsters.
Finito.
Ora si va a pranzo e poi a fare la spesa e poi ci si rilassa. Buona domenica!
Ciao e buon anno a tutti. Oggi parliamo
delle cose belle che finiscono. Le vacanze, le storie d'amore, la
gioventù, i soldi, i cicli della vita: tutto prima o poi finisce, è
un dato di fatto incontrovertibile, se siamo certi di qualcosa in
questo porco mondo è che nulla è eterno e che tutto ciò che ha un
inizio prima o poi avrà un termine, è una legge di natura e uno non
ci può fare niente.
“Oh, però non è giusto!” potrebbe
dire qualcuno “Perché le cose più belle non possono durare in
eterno?” E invece è giusto, perché se non finissero
diventerebbero la routine, e tu non le ricorderesti più come cose
belle. Tanto poi ne verranno altre, con un po' di fortuna, ché la
vita non finisce mai di stupire e riserva sempre sorprese.
Quest'ultima balla, ragazzi, raccontatevela fino a quando non
iniziate a crederci sul serio, e vedrete che sarete più felici.
Ma ora basta con la filosofia da bar,
perché anche le serie TV finiscono. Finiscono per sempre, com'è
naturale che sia, e alcune di esse bisogna salutarle come si deve.
Quest'anno si è conclusa Boardwalk Empire, una delle serie TV più
memorabili mai prodotte, un vero e proprio capolavoro destinato a
restare negli annali assieme a mostri sacri come The Shield, Lost e
BreakingBad. Se non avete mai guardato Boardwalk Empire, ragazzi,
smettete di leggere questo articolo e correte a rimediare. Qui si da'
un po' per scontato che conosciate la serie e l'abbiate seguita, e se
non l'avete fatto peggio per voi, ma siete ancora in tempo. Cercherò
di astenermi quanto più posso dagli spoiler, perché non voglio
rovinare nulla a chi è un neofita di questo show sul quale si sono
sprecati fiumi di inchiostro e spese migliaia di parole di lode. Ma,
come detto, un saluto a Boardwalk Empire va fatto. Un ringraziamento,
anche, per quelli che sono stati cinque anni di intrattenimento ad
altissimi livelli. E scusate se è poco.
Un'analisi
Prodotto dalla HBO e da Martin
Scorsese, diretto da Terence Winter e basato sul libro "BoardwalkEmpire: The Birth, HighTimes, and Corruption of
Atlantic City"di
Nelson Johnson, Boardwalk Empire segue le vicende di Enoch
“Nucky” Thompson, spregiudicato uomo politico e affarista senza
scrupoli che nel periodo del proibizionismo si fa strada con
ogni mezzo per diventare il re del commercio illegale degli alcolici
a New Orleans. Per attuare i suoi traffici Nucky stringe alleanze e
scatena guerre, fa il doppio gioco con la Mafia, l'IRA e il Ku Klux
Klan, unge deputati e senatori a suon di soldi, whiskey e puttane e
compra agenti federali come fossero sigarette dal tabaccaio.
BoardwalkEmpire racconta della sua ascesa verso il potere e delle
sue numerose cadute, della sua insaziabile ambizione e disarmante
solitudine, ci mostra come un uomo possa distruggere se stesso e
tutti quelli che gli stanno intorno per raggiungere uno scopo che
alla fine risulta fine a se stesso e non sembra neppure più un
premio, ma solo il lontano ricordo di una magnificenza sognata che
s'è trasformato nella maledizione di una vita. Tornare indietro è
impossibile una volta che hai messo in moto il meccanismo e ne sei
divenuto schiavo, così Nucky ballerà fino in fondo la musica che
lui stesso ha deciso di suonare, anche quando il ballo gli è venuto
a noia, anche quando potrebbe tirarsene fuori e cercare di
ricominciare una vita decente. Boardwalk Empire ci mostra cosa accade
quando vendi la tua anima al demone dell'ambizione e come i soldi
possano fare l'infelicità, descrive un periodo storico assolutamente
non dissimile dal nostro in cui lo spazio per gli affetti si riduce
fino a scomparire, schiacciato dalle dinamiche del “mors tua, vita
mea”. Non vince nessuno, mai, in questa guerra. L'America,
continente ai tempi ancora tutto sommato giovane e ricco di
opportunità, è il corpo immenso di una donna procace sul quale
piccoli e spietati esseri umani si arrampicano falciandosi,
uccidendosi e ostacolandosi a vicenda, una folle scalata combattuta
con unghie e denti per poter succhiare dalla mammella che aspetta lì
in alto, gonfia di promesse. Ognuno crede di essere il prescelto,
ognuno pensa di avere carte migliori degli avversari per vincere la
partita, ma tutti si sbagliano. Sarà l'America, bella e crudele, ad
annientarli, ma non prima di averli ubriacati con il sapore dello
scotch e l'odore dei dollari, non prima di averli privati della loro
stessa natura d'uomini. Sullo sfondo fiumi d'alcol, locali di
cabaret, prostitute, divi d'avanspettacolo, cappellini, parasole,
gonne, bettole di quart'ordine. In alto, il cielo blu del New Jersey,
indifferente al sangue e alle lacrime che inzuppano il boardwalk man
mano che la carneficina va avanti.
Ma
Boardwalk Empire non segue solo Nucky Thompson, raccontandoci anche
di altri uomini e donne, ed è qui che sta la sua forza. È un'opera
corale che regala il giusto spazio a decine di personaggi, ci mostra
le loro vite pubbliche e private, la loro battaglia quotidiana, i
loro fallimenti e i loro sforzi per rialzarsi ogni volta che cadono.
Vedrete i giovani Al Capone e Lucky Luciano farsi strada dal nulla
fino ai vertici della malavita, e vedrete lo spiantato Jim Darmody
sgomitare per diventare il successore di Nucky. Vedrete criminali di
ogni tipo e capirete cosa li muove, e i personaggi “positivi”
nella loro battaglia per restare fedeli a se stessi, mentre il mondo
attorno a loro scivola giorno dopo giorno verso una barbarie sempre
peggiore. Nessuno è immune dal morbo dell'ambizione, amore e soldi
sono due facce della stessa sporca medaglia che spinge gli uomini
l'uno contro l'altro nella disperata lotta per raggiungere ciò che
vogliono o credono di volere. È un'epopea, gente. Una cazzo di
grandissima epopea con uno sguardo profondo alla natura umana e ai
suoi aspetti peggiori. La bontà la si intravede di tanto in tanto,
in uno sguardo o una parola o un abbraccio, ma resta in sottofondo,
soffocata da istinti più pressanti. Potenzialmente ci sarebbe del
buono in tutti i personaggi di Boardwalk Empire, se solo non fossero
nati in quel luogo e in quel tempo, se solo non fossero diventati,
per scelta o per destino, ciò che sono.
Il
podio degli attori
Boardwalk
Empire annovera tra le sue fila i migliori attori nel mondo delle serie TV,
inutile girarci attorno. Ogni maledettissimo personaggio è prima di
tutto caratterizzato in maniera eccellente, e in secondo luogo
interpretato da attori che definire mostruosi non è assolutamente
esagerato. Potrei stilare una lista di venti attori e relativi
personaggi e ne resterebbero ancora fuori a pacchi, perfino i
characters secondari e i gregari sono perfetti. La sceneggiatura ha
fatto un lavoro magistrale nel dare vita a queste figure, ma non da
meno è stato chi ha scelto il cast, assicurandosi che ogni faccia,
ogni presenza scenica, ogni voce e ogni fisico potesse rendere al
100% il personaggio. Complimenti davvero a tutti gli attori, nessuno
escluso. Raramente ho visto prove di recitazione raggiungere tali
livelli. Ecco ora però il mio personalissimo podio:
III
posto –Stephen Graham (Al Capone)
Un
metro e sessantacinque centimetri scarsi di furia animalesca,
cattiveria pura e pessime battute, Stephen Graham (The Snatch, This
is England, Gangs of New York) ci regala un ritratto del giovane Al
Capone che completa e arricchisce l'interpretazione di Robert De Niro
nel memorabile Gli Intoccabili. Al Capone è consumato da
un'ambizione inversamente proporzionale al suo fisico, deciso a farsi
strada nel mondo con l'unico mezzo che conosce, la violenza. Al Capone ammazza e tortura, ruba e rapisce, ha scatti di brutalità
improvvisi e scoppi di allegria altrettanto inaspettati. Massacra donne e
bambini senza l'ombra di un rimorso ma adora la famiglia e cerca di
essere un buon padre. A differenza degli altri gangsters italoamericani
conserva un certo qual senso dell'onore e dell'amicizia ed è capace di farsi amare,
c'è in lui una malinconia nascosta che percepiamo quando sveste la
maschera del boss e si mostra per ciò che è: un giovane immigrato
che deve fare quello che deve per sopravvivere in una terra
straniera. Immenso Graham, mattatore fin dalla prima scena in cui
appare, al punto di oscurare altri personaggi più importanti
nell'economia della serie.
II
posto – Steve Buscemi (Nucky Thompson)
La
consacrazione definitiva di un attore che aveva passato la sua
carriera a fare da spalla, Boardwalk Empire lo ha ricoperto di premi
e riconoscimenti. Golden Globe nel 2011 come miglior attore di una
serie TV, Screen Actor Guild Award per due anni di seguito, nominato
agli Emmy Award e in altri premi di prestigio. Buscemi sembra aver
vissuto e recitato tutta la vita nell'attesa di impersonare Enoch
Thompson, il personaggio è fatto apposta per lui, cucitogli addosso
come i costosissimi abiti italiani che indossa in scena. Umorismo
tagliente, spalle cascanti, sorriso disilluso, quegli strani occhi
sempre umidi che all'improvviso diventano crudeli come quelli del
diavolo, perforando l'interlocutore come un proiettile, Nucky
Thompson è una metafora di come il tuo sogno più prezioso possa
sfuggirti di mano e arrivare a dominarti, e di come tu debba imparare
a convivere con questa cosa fino al giorno in cui morirai. Un uomo
che nella sua vita ha conosciuto tutto e ne porta i segni su ogni
ruga del volto, un vincente che sa di aver perso e gioca la sua
partita solo per il gusto di provare ancora il brivido del rischio,
Nucky Thompson suscita nello spettatore sentimenti che vanno
dall'adorazione al ribrezzo, accompagnandoci nell'avventura con la
promessa che prima che il sipario cali per sempre proverà ancora un
colpo di coda, l'ultima zampata da bastardo tanto per far capire al
mondo che lui era e resterà il re di Atlantic City. Un applauso a
Buscemi, attore fenomenale.
I
posto – Michael Shannon (agente Van Alden/George Mueller)
L'idolo,
la scoperta, l'assoluta sorpresa della serie. Van Alden inizia come
agente federale pieno di certezze e saldi propositi, poi la sua vita
va a puttane e lui cerca di riacchiapparla per i capelli, vive ogni
genere di disavventure e prende una valanga di botte, cerca di
tenersi ancorato ai suoi vecchi principi anche quando il mondo
intorno a lui è totalmente cambiato. Van Alden è il prototipo
dell'uomo alla deriva che cerca di tenersi in piedi nella tempesta,
il fallito che perde tutto e va comunque avanti, l'uomo sconfitto dal
destino che passa da una sfiga all'altra con la stoica rassegnazione
di un martire e la cocciutaggine di un mulo. Shannon, attore
fantastico, gli regala il suo metro e novanta di statura e la sua
faccia che sembra intagliata nella pietra da un artigiano alle prime
armi, con quella testa enorme e quegli occhi assurdamente grandi. Gli
basta sollevare un sopracciglio per per scatenare le risate del
pubblico, le sue frasi sono tanto fuori luogo quanto memorabili, la
sua totale inadeguatezza nei confronti delle situazioni che vive è
sublime e assurda allo stesso tempo. Van Alden è il personaggio
insieme più comico e più drammatico della serie, una specie di
cyborg dai movimenti legnosi e dalla parlantina meccanica, grande
incassatore tanto di pugni quanto di colpi bassi del destino,
antieroe per eccellenza per cui si finisce inevitabilmente per fare
il tifo. Anche a Michael Shannon Boardwalk Empire ha fruttato premi,
tra i quali lo Screen Actors Guild Award nel 2011 e il Saturn Award
nel 2012, tutti meritatissimi.
L'ultima
stagione
Le
precedenti quattro stagioni di Boardwalk Empire seguono uno scorrere
temporale progressivo a partire dal 1920, presentandoci le
vicende man mano che si susseguono. La quinta e ultima fa invece un
balzo in avanti nel tempo di sette anni portandoci in piena Grande
Depressione, il periodo in cui si inizia a parlare di abolire il
proibizionismo. Nucky Thompson lavora sottobanco per rientrare alla
grande nel commercio degli alcolici una volta che saranno tornati
legali, intanto i boss della malavita italiana si combattono con
sempre maggiore efferatezza. Come è giusto che sia, l'ultima
stagione ci spiega alcune cose lasciate in sospeso; le otto puntate
sono infatti un alternarsi di narrazione al presente e flashbacks
dell'infanzia e dell'adolescenza di Nucky ad Atatlintic City, momenti
della sua vita passata che ci mostrano come, quando e perché è
diventato ciò che è. Attraverso gli occhi del Nucky bambino
(interpretato dal giovanissimo e già molto bravo Nolan Lyons) e poi
del Nucky giovane uomo (Marc Pickering) scopriremo in che modo
Thompson sia cresciuto e quali siano state le circostanze che lo
hanno portato a diventare un uomo potente, ma soprattutto avremo modo
di conoscere la figura che ha lasciato un'impronta indelebile sulla
sua anima, colui che lo plasmò sin dai primi anni, trasformandolo
nell'uomo che conosciamo. Si tratta di una discesa verso l'inferno,
un progressivo addentrarsi verso la disillusione e il marcio che il
potere nasconde, l'iniziazione di un innocente che poco a poco viene
contaminato da una realtà che forse aveva sempre immaginato, ma che
si rivela più sordida e abominevole del previsto. Nucky non è però scappato da
quella minaccia, anzi vi si è inchinato, perché l'ambizione era già
forte in lui ed egli aveva compreso, pur giovane, che la strada per
il successo passava di lì. Vincerà una città, ma perderà per
sempre se stesso. Il resto è storia presente. Il resto è quanto
resta dell'ultima stagione, raccontato mentre le cose accadono.
Quello
che accade è l'ultima brutale battaglia per il dominio di Atlantic
City. Nucky tenterà di tenere duro mentre il suo regno gli si
sgretola sempre più sotto i piedi, i vecchi amici cadono e gli
antichi rivali sembrano essere diventati più forti di lui. In questa
ultima stagione si raggiungono picchi di durezza, violenza e
drammaticità incommensurabili, il sipario cala con la forza di un coperchio
di bara sui personaggi e i colpi di scena si susseguono con un ritmo
vertiginoso mentre i nodi vengono al pettine con l'inesorabilità di
un fato da tragedia. Nessuno scampa al proprio destino, in pochi riescono a fare ammenda per i propri peccati, nessuno vede una salvezza che è troppo tardi anche solo per
invocare. Si chiudono la storia di Al Capone, una bestia dedita alla
violenza che nell'ultima puntata ci viene presentato in tutta la sua
disarmante umanità di padre, e quella di Eli, il fratello di Nucky,
che forse ne esce un po' meglio degli altri, ma comunque distrutto.
Si chiudono le storie di Chalky White, il nero senza catene che
sognava di essere un gangster, e quella del Dottor Narcisse, un altro
nero che progettava la riscossa afroamericana attraverso i guadagni
del commercio dell'eroina. Ci salutano Margaret, la timida irlandese,
lo sciocco Mickey Doyle, quella vecchia prugna rinsecchita di Johnny Torrio e
tutti gli altri. E poi si chiude. Si chiude con un finale che torna
lì da dove tutto è partito, da quell'Atlantic City di fine '800 in
cui Nucky Thompson muoveva, bambino, i primi passi verso il successo,
scavandosi contemporaneamente la tomba. Perché si può sfuggire
quasi a tutto, e si può essere perdonati quasi per ogni cosa,
eccetto le nefandezze che ci rimangono sull'anima come una macchia
indelebile. Quelle si pagano, sempre, non importa quanto tempo possa
passare. Boardwalk Empire ci lascia con questa lezione, i titoli di
coda ci consegnano una giustizia quasi divina e la musica che
suona alla fine dell'ultimo episodio dell'ultima stagione hanno il
sapore agrodolce di qualcosa che sapevamo doveva andare così, ma che
vorremmo fosse andato diversamente. Ma non sarebbe stato reale. Non
sarebbe stata la vita. Perché la vita, quella vera, alla fine il
conto te lo presenta sempre.
Siamo
alla fine. Guardate Boardwalk Empire se non l'avete ancora fatto. Non
ve ne pentirete, anzi capirete come, in questi tempi spesso
caratterizzati dalla mediocrità e dalla faciloneria in campo artistico, si possa ancora
fare dell'arte a grandi livelli. Se è una storia che cercate,
Boardwalk Empire ve la regalerà, mostrandovi nel contempo cosa sono
la vita, la morte e tutto quello che c'è in mezzo. E, come ho detto
prima, scusate se è poco. Vi lascio con una delle frasi più belle,
promunciate dal Dottor Narcisse, che a mio parere racchiude tutto il
significato della serie, e anche il significato di qualcosa di ben
più grande:
“To be what we are, where we are, and
still dare to be free. What could be more lonely?”