giovedì 22 gennaio 2015

"John Dies at the End" di David Wong

Qualche mese fa mi sono comprato il Kindle. Era una cosa che avevo in mente di fare da anni e alla fine l'ho fatta, sono andato da Argos e l'ho comprato. Così ho anche scoperto come funziona Argos: quando ci entri questi negozi sono vuoti, non c'è un cazzo, solo i commessi, nessun articolo. Qual è il senso di tenere aperto un negozio senza merce? Come fanno a guadagnare? Chi paga i dipendenti se non si vende nulla? All'inizio credevo fosse una copertura per l'FBI, poi ho capito che nei centri Argos ci sono dei terminali con dei cataloghi elettronici dove puoi ordinare di tutto, dalle Playstation 4 agli spazzolini da denti, ti basta selezionare l'articolo e inviare il codice. La roba la tengono in un magazzino sul retro. Ti siedi, aspetti qualche minuto e un commesso va a prendere quello che ti serve e te lo porta. Niente caos sugli scaffali, niente tempo da perdere a cercare il reparto giusto, minimizzazione dello spazio e massimizzazione della soddisfazione del cliente. Il consumismo all'ennesima potenza. Maledizione. Dove sono finite le piccole botteghe di quartiere dei bei tempi? Quelle in cui conoscevi il negoziante, facevi due chiacchiere con lui, ti lasciavi consigliare?
Be', non so dove siano finite le piccole botteghe di una volta, ma di sicuro c'è che il Kindle là non ce l'avrei trovato. Da Argos invece sì. Con il Kindle è iniziata una nuova fase per la mia lettura, e ho speso un fracco di soldi in libri. Per me comprare libri equivale al comprare scarpe per le donne, e quando hai una libreria sterminata a portata di click diventa davvero difficile trattenersi.  Oh, anche le donne comprano libri, non voglio risultare maschilista. Quanti ne comprano? Be', dipende da quanti soldi gli restano in tasca dopo essere uscite dai negozi di scarpe. 

Uno dei primi libri letti sul Kindle è stato "John Dies at the End" ("Alla Fine John Muore" in italiano) di Daving Wong. David Wong non è il suo vero nome. Semplicemente, a quanto pare Wong è il cognome più comune e diffuso sulla faccia della terra, ed è stato adottato come pseudonimo dall'americano Jason Pargin, classe 1970, autore di questo libro. Wong (o Pargin), è anche piuttosto celebre per aver teorizzato sulla rivista Cracked.com la sua idea di humor, battezzata con l'acronimo PWOT (Pointless Waste Of Time). L'umorismo di Wong è irresistibile, sboccato, demenziale fino all'estremo, politicamente scorretto. In un discorso in auto all'interno di "John Dies at the End" si scivola sulle dimensioni del pene. Ecco come va a finire:

"Vi ho mai detto che ho un cazzo enorme?"
"Per quanto il tuo cazzo sia grande non potrà essere mai grande come il mio."
"Amico, il mio cazzo è talmente grande che se avesse un proprio cazzo sarebbe comunque più grosso del tuo cazzo."



"John Dies at the End" è un horror demenziale che farà la gioia di chi ha apprezzato la "Trilogia del Drive-In" e "Bubbah Oh-Tep" di Lansdale. Lo stile di Wong è molto simile a quello dei primi lavori dello scrittore texano che in tanti ormai stimano anche in Italia, con lo stesso mix di horror, humor, situazioni al limite dell'assurdo, violenza e azione a go-go. La storia, raccontata dallo stesso personaggio di David Wong durante un'intervista a un reporter, ripercorre il passato di David e del suo amico John, e spiega come queste due inutili teste vuote siano divenute l'unica speranza della Terra contro l'invasione degli uomini-ombra, esseri di un'altra dimensione governati dal dio Korrok, che intende sottomettere il nostro pianeta. Da qui è tutto un susseguirsi di gente che crepa nelle maniere più truculente, combattimenti con mostri fuori di testa, vermetti che si introducono nelle persone e nei cani trasformandoli in schiavi, droghe aliene e viaggi attraverso lo spazio-tempo. La figura di John, cazzone sballato apparentemente buono a nulla ma in realtà vero mattatore della storia, è da applausi. Come quando, pronto a combattere una creatura ovviamente demoniaca, lega una Bibbia alla sua mazza da baseball. O come quando, avendo capito che i mostri detestano l'amore e i buoni sentimenti, crea un'arma potentissima capace di annichilirli: uno stereo portatile caricato con ballate rock anni '80. La musica gioca un ruolo portante nel libro. Ecco cosa accade quando David, seduto in auto, ascolta una canzone dei Limp Bizkit:

"Dopo alcuni momenti di scariche statiche beccai una stazione radio dove c'era un uomo che apparentemente stava urlando attraverso una laringe frantumata. Dopo qualche momento realizzai che si trattava semplicemente di Fred Durst dei Limp Bizkit. I Limp Bizkit sono la band che ha inventato lo stile musicale basato sul dare in pasto un foglio pieno di frasi rap a una capra, quindi leggere quello che c'è scritto nella sua merda mentre qualcuno suona dei riff heavy-metal."


Anche gli uomini-ombra, cattivissimi, si servono della musica per i loro scopi. Manipolando la realtà a loro piacimento sono in grado di cambiare le parole delle canzoni per instillare sentimenti negativi negli esseri umani. Il razzismo, che divide l'umanità e genera l'odio di cui si nutrono, è uno dei loro strumenti preferiti. Ecco come "Losing my religion" dei R.E.M. viene stravolta mentre David la ascolta all'autoradio:
  
"Ooh knife
plus nigger
Equals you, and jews are dead meat"

"John Dies at the End" non è solo demenzialità, però. Si tratta di una storia che parla di un'amicizia indissolubile e della solitudine dei predestinati, della battaglia di David per avere una vita normale e della morte, e anche di qualcosa di peggiore della morte: la perdita del ricordo delle persone scomparse. Non voglio svelare troppo, ma a un tratto compare, solo per qualche riga, un personaggio assolutamente sconosciuto ai protagonisti. La sua storia, e ciò che ne è stato di lui, è uno dei passaggi più tristi che abbia letto di recente, e vi assicuro che Wong è altrettanto bravo a far scendere una lacrima quanto lo è a provocare una risata. "John Dies at the End" è anche la rivincita degli sfigati, dei perdenti che alle superiori sono evitati da tutti, un'epopea sgangherata di sangue, parolacce e riflessioni sulla vita che lascia assolutamente soddisfatti dopo la lettura, sperando che abbia un seguito. Be', sapete una cosa? Il seguito c'è! Si intitola "This Book is Full of Spiders: Seriously Dude, don't Touch It!", ed è tra le mie prossime letture. Consigliatissimo libro per chi ama questo genere, ci hanno fatto anche un film ma ho saputo che non è granché, quindi: leggete il libro. Buona giornata e alla prossima!




lunedì 19 gennaio 2015

Gente che fa cose

Bene, bene, l'anno nuovo è iniziato coi controcazzi. Tra attentati, morti di personaggi illustri, casini internazionali e scandali di casa nostra c'è poco da stare allegri, questo non è un buon momento storico per rimanere sobri e infatti io ci vado giù pesante di Guinness. Ho anche deciso di astenermi dallo sport nazionale dell'infliggere al mondo la mia inutile opinione tramite i social network, piuttosto me ne vado a Temple Bar ad ascoltare un po' di musica irlandese che mi rilassa e mi mette in pace con il creato. Ieri ho avuto la fortuna di assistere al concerto di questo tizio chiamato Shaky: oltre ad avere trent'anni ed essere alcolizzato all'ultimo stadio, Shaky ha anche vinto il contest irlandese di violino per nove volte di fila, e se guardate il video non stenterete a crederci. Bravo, bravo davvero. Gli ho pure offerto una birra e lui ha suonato “Finnegan's Wake” per sdebitarsi. Grande, Shaky! Alla prossima.



Oggi parliamo di gente che conosco e che fa cose. Mettiamo subito in chiaro un punto, visto che là fuori è pieno di malfidenti: questo post non è una marchetta e non vuol essere un “do ut des” nella speranza di pubblicizzare il mio blog, io il pane me lo guadagno in altre maniere e i miei quindici minuti di notorietà me li sono già presi quella volta in cui a capodanno di molti anni fa rischiai di finire in questura per aver invitato un rappresentante delle forze dell'ordine a mostrarmi le sue abilità nell'antica arte della fellatio. Non ho quindi particolari motivazioni per parlare di queste cose fatte da queste persone, tranne il fatto che son persone che in qualche modo ho l'onore di conoscere e fanno cose che ritengo meritevoli. Alcune di loro le conosco da tanto tempo solo tramite Internet, con altre ci ho passato tante di quelle sere al pub da averne ormai perso il conto. È gente che non sta ferma, che crea cose e ne progetta altre, che non guarda i programmi di Barbara D'Urso e non televota nei reality-show, gente che secondo me ha una bella testa e soprattutto condivide ciò che fa con il mondo. Vi pare poco, in questa società dove il selfie è stato elevato a forma d'arte e gli status di facebook rappresentano il massimo dell'espressione comunicativa? E allora dai, date un'occhiata a queste cose fatte da questa gente. Sono sicuro che ognuno potrà trovarci qualcosa di interessante.  


La prima cosa di cui voglio parlarvi è una bella iniziativa di Gelostellato. Gelo lo conosco da tempo immemore, anche se ci siamo incontrati solo una volta, siamo cresciuti sgomitando assieme su leggendari forum di scrittura come quelli di LatelaNeraScheletri e il forum della mai troppo compianta edizioni XII. Gelo ha una gran passione per la lettura, e sul suo blog crea spesso iniziative per promuoverla. La sua ultima trovata sono i libri PEM, una lista collettiva stilata dai frequentatori del suo blog per individuare i cento libri che vale la pena leggere per diventare persone migliori, libri che arricchiscono e insegnano, che ci cambiano, che ci rendono migliori. Sul blog si possono commentare i libri e votarli per farli salire in classifica, se avete un classico che vi è rimasto nel cuore o un libro poco conosciuto che credete debba assolutamente essere letto è questa la vostra occasione, alla fine vedremo quanti dei venti libri PEM da voi indicati ce l'avranno fatta a essere tra i primi cento. Non è una bella iniziativa? A me piace.



La seconda persona che fa cose è invece un amico proprio stretto, quasi un fratello, che sul suo Art Covers Me posta i suoi lavori e i suoi pensieri, ugualmente apprezzabili. Giulio Perozziello è un giovane disegnatore dal sicuro talento e dalle grandi potenzialità, che ha collaborato con edizioni XII in qualità di artista per i racconti vincitori delle prime edizioni dell'instant-contest letterario Minuti Contati. Ha anche disegnato la copertina del mio per ora unico romanzo, mandato in pasto alla rete ormai quasi tre anni fa. A distanza di tempo quel disegno mi piace ancora, lo trovo molto evocativo e ben rappresentativo dell'atmosfera del libro. Poi Giulio si è evoluto e infatti sul blog ci trovate anche sue cose più recenti, come quel samurai con in mano la rosa che secondo me è spettacolare. Check it out!




La terza cosa meritevole è Librogamecreator 3, creato e migliorato negli anni da Matteo Poropat, un'altra mia vecchia conoscenza dei forum di scrittura. Sapete cosa sono i librigame? Ci avete mai giocato? Io sì, quand'ero più giovane, e ce ne sono due che mi sono rimasti nel cuore: si tratta de “La casa infernale” e de “La creatura del male”, pubblicati come decine di altri da Edizioni El nella collana “Librogame”. I librigame sono libri che contengono avventure basate su una storia lineare che presenta incroci, svolte inaspettate, scelte che il lettore deve fare, combattimenti all'ultimo sangue contro ogni genere di creatura e finali multipli a seconda di quali scelte si prendono. Per giocare si deve essere muniti solo di dadi, usati perlopiù nei combattimenti, ogni pagina contiene stralci di trama ai quali si salta a seconda di quale direzione si prende. Ad esempio: “Incontri Fabio Volo che sta portando il suo nuovo manoscritto dal suo editore. Se vuoi dargli un passaggio e assicurarti che il libro veda la pubblicazione, vai a pagina 34. Se invece vuoi risparmiare all'umanità quest'ennesima orchite aggredisci Fabio Volo e tira un dado. Con un punteggio da 1 a 3 gli ruberai il manoscritto e salterai a pagina 61. Con un punteggio da 4 a 6 Fabio si incazza e ti attacca, e devi difenderti! Corri a pagina 48!” E così via. Il librogame è un libro interattivo che racconta una storia a cui il lettore partecipa nelle vesti del personaggio protagonista, si può crepare in un sacco di modi e ce ne sono per tutti i gusti, dall'horror al fantasy, dalla fantascienza ai mondi post-apocalittici e così via. Il programma di Matteo ci permette di creare un nostro librogame in tutti i suoi aspetti, inclusi la storia, le mappe, i vari bivi, e di esportarlo in diversi formati. C'è di che divertirsi a smanettare con Librogamecreator3, e se considerate che è anche gratuito (potete lasciare una donazione a Matteo sul suo sito se volete) be', il gioco è fatto.



Ora passiamo invece a parlare di Manuel Crispo, amico e compagno di sbronze da un bel po' d'anni. Manuel è un accanito lettore e uno scrittore decisamente sopra la media, con un bagaglio lessicale di tutto rispetto, una sensibilità spiccata e un humor politicamente scorretto come piace a me. L'anno scorso ha aperto il blog di Don Cristo dove ha pubblicato questa storia allucinata, blasfema e divertentissima che ha come protagonista Gesù. Siamo a Gerusalemme nell'anno 30 D.C. e Don Cristo è il padrino di una famiglia mafiosa che gestisce vari racket. Spalleggiato da alcuni sgherri, Don Cristo deve affrontare una guerra contro la famiglia rivale di Ponzio “Mani Pulite” Pilato. Da qui iniziano una serie di avventure sopra le righe che coinvolgono tutti i personaggi del Nuovo Testamento, rivisitati in chiave “Goodfellas”. Giuseppe l'Evangelista è un sicario con le rotelle fuori posto che non riesce a limitarsi con le teste di cavallo lasciate nei letti dei nemici, Giuda il classico picciotto che fa il doppio gioco, Matteo un apostolo che ci sa fare con le donne e con le parole, Lucifero un giovane bellissimo dallo stile impeccabile. La storia è davvero divertente e si legge che è un piacere, io l'ho quasi finita. Potete leggerla sul blog di Manuel o meglio ancora scaricare l'ebook Don Cristo e altri racconti.



Altro giro altra corsa. Umberto Parisi, oltre a essere un bravissimo musicista, è anche un grande appassionato di retrogaming, cioè di quelle console e videogames che oggi definiremmo “antichi” e che tante ore di divertimento ci hanno regalato quando eravamo ragazzini. Non provate a dire che è roba sorpassata, perché lo so che vi si bagnano gli occhi ogni volta che ripensate a Wonder Boy e a Golden Axe, brutti nerd che non siete altro. Umberto ha un canale Youtube dove parla di retrogaming chiamato “Gli Psychotronici”, ma soprattutto sta lavorando a un'avventura grafica in stile Monkey Island dal titolo “Call of Cthulhu – Chronicles of Innsmouth” che promette di essere una gran cosa. Qui di seguito un video di presentazione del gioco, spero davvero che lo porti a termine perché non vedo l'ora di giocarci.



Ultima segnalazione per La stanza delle grida di Simone Lega, anche lui vecchio amico conosciuto sui forum di scrittura. Lessi questo racconto horror una vita fa, ma lo ricordo ancora benissimo e vi assicuro che è di una morbosità e di una raffinatezza squisite, un piccolo capolavoro che getta uno sguardo assolutamente nuovo sul tema della vita dopo la morte. Non è l'unico bel racconto di Simone che ricordo, ce n'erano tanti altri e vi assicuro che questo ragazzo sa scrivere. Tenetelo d'occhio.


Bene, questo piccolo post dai molti link termina qui. Fidatevi dei miei consigli e date un'occhiata a queste cose, ché al mondo c'è bisogno di roba bella e di animi appassionati, c'è bisogno di idee e di sfide, di gente che fa invece di disfare. Non ho incluso tutti, ma ci sarà probabilmente un altro capitolo. A presto e buon proseguimento!




mercoledì 14 gennaio 2015

Partire per l'estero: piccoli consigli pratici

Ciao, questo post è per te che stai pensando di andare a cercar fortuna all'estero. Sì, proprio tu che hai sentito parlare di questa fantomatica “gente che emigra” e ti sei fatto delle idee a riguardo, ci vorresti provare ma sei dubbioso, hai un po' di paura, non sai bene cosa decidere. Ci rimugini su, guardi qualcosa su Internet, cerchi pareri. Mi sembra di vederti, al di là dello schermo: hai tra i venti e i quarant'anni anni, sei probabilmente laureato, ti ingegni per sbarcare il lunario e non hai un lavoro che ti permette di essere indipendente. L'Italia non è che offra troppo in questo periodo, anche la situazione globale è quella che è, la gente s'arrangia a campare e il futuro sembra piuttosto incerto. I tuoi, loro hanno vissuto in un periodo diverso, il periodo in cui ci si poteva permettere di pagare il mutuo e la pensione era più o meno sicura, le fabbriche assumevano, ci si comprava la macchina, ci si concedeva qualche lusso, non c'era l'euro, la maggior parte dei contratti di lavoro era a tempo indeterminato e un'attività individuale rappresentava un investimento abbastanza sicuro. Certo, hanno lavorato un sacco e hanno fatto tanti sacrifici, ma sudando hanno costruito qualcosa, qualcosa che oggi sembra così difficile, quasi impossibile per alcuni. E tu continui a sentire di questi che se ne vanno, pensi che siano pazzi o coraggiosi, qualcuno di loro lo conosci anche di persona e ogni tanto lo contatti, gli chiedi com'è e lui ti dice che è meglio. Te ne vuoi andare, anche solo per un periodo breve, anche solo per vedere di persona se è vero, se ce la puoi fare, ti vuoi mettere alla prova.



Sì, ma se poi fallisci? Che succede?

Ecco, ti voglio subito tranquillizzare su questo primo aspetto. Se fallisci non succede niente. Non stai andando in guerra, non stai partendo per un altro pianeta, non ti stai recando a esplorare territori non civilizzati. Il massimo che ti possa accadere è di non raggiungere l'obbiettivo che t'eri posto, e in quel caso torni a casa e stop. Avrai speso qualche soldo, ma quello devi metterlo in conto. Nessuno ti chiamerà “fallito”, e quelli che lo faranno non ne avranno titolo. Questa cosa, se la vuoi fare, riguarda solo te. E non ci sono dei punteggi da totalizzare, non c'è qualcuno a cui rendere conto. Se lo decidi te ne assumi tutte le responsabilità, e sei quindi l'unico che potrà tirare le somme alla fine. Ci siamo capiti? Bene, rilassati adesso, ché mi sembri una cazzo di matricola universitaria al primo esame della facoltà di medicina.





Tra Londra e Dublino, ragazzo mio, sono quasi due anni che vivo e lavoro all'estero. Non è sempre facile e non è sempre bello, è una vita totalmente diversa da quella che facevo in Italia ma mi permette di pagarmi l'affitto, comprarmi quello che mi serve, bere quanto voglio, fare qualche viaggio e sentirmi tutto sommato a posto con me stesso. Ho pure degli amici, conosco gente, faccio cose. Non ti dirò che vivo un sogno, perché non è vero. Faccio la vita normale di un ultratrentenne. Quella che non potevo permettermi di fare in Italia, perché con la mia laurea in lingue e letterature straniere mi ci sarei potuto pulire il deretano e non mi andava di lavorare tutta la vita nei call center per trecento euro al mese o svegliarmi sei mattine su sette alle due e mezza per scaricare cassette di frutta ai mercati generali, certi mestieri li ho fatti per un certo periodo e ho deciso che non volevo farli più. Santi in paradiso non ne ho, e se anche ne avessi avuti non avrei chiesto favori. Ho preso e me ne sono andato. Due volte. Ti spiego, senza pretendere di essere un maestro di vita, come puoi muoverti se vuoi provarci anche tu.



Primo: chiediti se ne vale la pena. Cosa lasci in Italia? Un lavoro decente? Una ragazza? Delle possibilità di carriera? Degli studi non completati? Se hai delle cose in ballo il mio consiglio è di risolverle, non vuoi partire con dei rimpianti che ti appesantiranno durante un periodo che si preannuncia già difficile. Non tutti sono costretti a partire, l'Italia è piena di gente che si riempie la bocca di frasi tipo “ormai non ci resta che emigrare”, “il governo fa schifo, devo andarmene da qua”, “basta, tra un anno io sto a Dublino/Berlino/Londra/Parigi/Madrid/Amsterdam ecc”. Sai una cosa? La maggior parte di loro non prenderà mai quell'aereo. Il parlare di andarsene è un'evasione mentale che si concedono ben sapendo di avere tutte e due le scarpe piantate in Italia, fanno castelli in aria come io potrei dire che prima o poi mi tromberò Eva Green. L'Italia offre anche delle possibilità a chi ha il curriculum giusto, non scartare a priori il tuo paese. Prendi in considerazione l'idea di partire solo se sei infognato qui senza una via d'uscita o se vuoi concederti un periodo di vita all'estero senza troppe pretese, oppure se sai che all'estero avrai concretamente più possibilità nel tuo campo lavorativo. Se hai meno di trent'anni fare il barista o il cameriere a Londra per dieci ore al giorno non ti ucciderà. Ma se ne hai di più forse è meglio che ti concentri su altre opzioni, ché a mio parere quella non è una vita adatta a chi si vuole costruire un futuro.



Secondo: non dar retta a nessuno. Nemmeno a me, non del tutto almeno. Sentirai e leggerai pareri assolutamente discordanti riguardo le esperienze all'estero. Ci saranno quelli che ti diranno che è un inferno e quelli che sono invece entusiasti, ci saranno perfino quelli che non si sono mai mossi dal bar sotto casa e che pretendono di sapere come vanno le cose per sentito dire o perché leggono qualcosa su Internet.

“Lascia perdere, il gioco non vale la candela.”

“Che fai ancora in Italia? Vieni qui, si vive da Dio!”

“Ma dove cazzo vuoi andare? Ma lo sai che anche lì c'è la crisi?”

“Qui sono diventato ricco!”

“Il mese prossimo torno. Non posso più pagare l'affitto.”

“Mi sono appena comprato la casa. In Italia non riuscivo neanche a pagare le bollette.”

Il cognato di un mio cugino di sesto grado ci ha provato. È finito a dormire in un cartone per strada e a combattersi il cibo coi cani randagi.”

'Fanculo. Sul serio, amico, mandali a fare in culo. Non chiedere, non fidarti, vai dritto per la tua strada. Non è vero che all'estero tutti fanno i camerieri, non è vero che la crisi è uguale dappertutto, non è vero che si riesce a malapena a far quadrare le spese. Ogni persona avrà una storia diversa da raccontare, perché ci sono in gioco così tanti fattori e così tante variabili da rendere perfettamente inutile confrontare le esperienze. Lavora su te stesso, preparati, rifletti. Parti dal prenotare il biglietto aereo e l'ostello. Fallo almeno tre mesi prima, così li pagherai di meno e in più ti darai una scadenza e avrai il tempo di organizzarti, è il primo passo per andarsene sul serio. Se hai deciso, non rimandare. Un bel respiro, il sito di una compagnia low-cost e via, hai già iniziato.



Terzo: scegli bene la destinazione. Londra non è Dublino, Berlino non è Madrid e Praga non è Stoccolma. Scegli la città in base a quel che pensi che potrà offrirti, documentati sull'offerta di lavoro che c'è per stranieri, sul welfare, sulle attuali condizioni economiche, sul tasso di disoccupazione, sul costo della vita rapportato agli stipendi. In questo Google sarà un prezioso alleato, non andare allo sbaraglio. Spulcia i siti governativi e informati sui permessi che ti servono per lavorare, contatta le ambasciate, inizia a sondare il terreno rispondendo a qualche annuncio d'impiego.

Ti sei già rotto il cazzo, vero? E non sei nemmeno partito. Te lo voglio dire, fratello, sarà dura all'inizio. Quindi fai così: visualizza la scena iniziale di Full Metal Jacket, hai presente? Devi avere il sergente Hartmann che ti urla nella testa ventiquattrore su ventiquattro sette giorni su sette, devi ripeterti il suo monologo allo specchio, al cesso, prima di andare a dormire. Non c'è altro modo. Fidati, lui ti aiuterà.







Quarto: il budget. Duemila euro sono il minimo. Risparmiali, mettili da parte, ti serviranno per i primi tempi. Molto probabilmente il lavoro non sarà lì ad aspettarti quando arrivi e per un certo periodo sarai disoccupato, intanto dovrai comunque mangiare, spostarti, avere un tetto sopra la testa. I soldi vanno via con una velocità impressionante quando sei all'estero e cerchi ancora un impiego, devi essere sicuro di poter contare su un budget che ti permetta di poter restare almeno un paio di mesi. Parti solo quando hai abbastanza soldi. Puoi fare un progetto a lungo termine mentre sei ancora in Italia, sulla base del tempo che ti serve per mettere insieme il capitale. Se sei all'estero e non hai ancora un lavoro non sprecare denaro, gli sfizi te li toglierai appena inizierai a guadagnare. Se non hai una base economica decente rimanda la partenza. Rischieresti di restare troppo poco tempo, e il tempo è ciò che ti serve per avere successo.



Quinto: i tempi duri. E daglie. Inizio a starti antipatico, vero? Ma lo faccio per il tuo bene, per prepararti a quel che ti aspetta. Ne ho vista di gente arrivare qui con la voglia di spaccare il mondo e tornarsene a casa davanti alla prima difficoltà, non voglio che succeda anche a te. Quindi, spalle larghe e preparati a sopportare il clima freddo dei paesi del nord Europa (sì, è lì che di solito c'è il lavoro), preparati a dormire poco e mangiare male, a contarti gli spiccioli per non restare in bolletta, a camminare fino a consumarti le suole. Preparati all'inevitabile solitudine dei primi tempi e alle telefonate con tua madre che ti faranno star male, alle noie burocratiche e alle porte sbattute in faccia, alle giornate in cui non sei riuscito a muoverti di un passo e ti sembra di non avere nessuna chance. Devi essere forte, perché questa non è una vacanza. Se sei fortunato avrai una ragazza che è partita con te e vi dividerete il peso di questi giorni, oppure un amico che è già lì e ti aiuterà ad ambientarti. Ma se vai da solo non avrai che te stesso, ed è su te stesso che dovrai contare. Ce la farai, non è una cosa impossibile, ce la fanno in tanti. E poi, lo sai cosa viene dopo i tempi duri? I tempi migliori. Quindi preparati a lottare, ma resta positivo. Sorridere delle piccole avversità che ti capiteranno ti aiuterà ad avere uno sguardo diverso nei confronti di tante cose.



Sesto: la lingua. A Londra, se lavori nella ristorazione, non avrai bisogno di essere fluente nella lingua d'Albione. In Irlanda le compagnie come quella per cui lavoro ti fanno passare attraverso vari test e colloqui telefonici in inglese prima di chiamarti per l'interview faccia a faccia. In Germania si parla perlopiù tedesco, sappilo. Pare che in Francia parlino il francese e in Spagna lo spagnolo. Non pensare di potertela cavare ovunque tu vada con quattro parole stentate in inglese, non è vero. La conoscenza della lingua sarà fondamentale per la tua riuscita, a meno che tu non cerchi un lavoro dove ti comandano a gesti. Se sai di non essere fluente prima di partire considera la possibilità di frequentare  un bel corso di lingua straniera, sono soldi spesi benissimo e ti darà molte più chance di successo, la gente nei paesi esteri si aspetta che se tu sei lì parli la loro lingua. Anche nei rapporti sociali vale lo stesso. Non ti illuderai che le ragazze si innamorino della tua bella faccia, spero. Ci devi parlare, o sarai sempre tagliato fuori. Costruisciti una base linguistica, poi la migliorerai stando lì. Se parli male anche l'italiano resta a casa e iscriviti a una scuola serale.



Settimo: il curriculum e i colloqui. Manderai tonnellate di curriculum e passerai i primi tempi a fare colloqui. Questa è già una buona cosa, perché all'estero almeno ti chiamano per le job interview. Fatti un esame di coscienza e rifletti su quali skills puoi offrire. Se cerchi un lavoro generico come barista, cameriere o lavapiatti Londra andrà benissimo, se invece hai qualifiche in settori più specifici potrai guardare quale paese richiede figure professionali come la tua e decidere di conseguenza. Prepara un bel curriculum chiaro, conciso e onesto, informati se il paese di destinazione accetta i CV in formato europeo o UK, scrivi una lettera di presentazione in cui parli di te e di quello che credi ti renda adatto per il lavoro. Non sparare cazzate nel curriculum, perché molto spesso controllano le referenze. Studia il tuo CV e imparalo come l'Ave Maria, sii convinto delle esperienze che hai menzionato, non mostrare incertezze quando ti siedi di fronte al tuo potenziale datore di lavoro. Vestiti bene quando fai il colloquio, con la cravatta, sorridi, mostrati entusiasta e fai capire che sei lì perché il lavoro lo vuoi, non tanto per provare. Informati sul posto di lavoro e sulla compagnia che lo offre e mostra di conoscerli, discuti, fai domande, rilancia il discorso. Non è un'interrogazione a scuola, è un dialogo e vogliono vedere che sei intraprendente. All'inizio avrai paura, ma dopo un paio di colloqui sarai okay. Il primo rifiuto non deve buttarti giù, è normalissimo, ma con costanza e un po' di fortuna riuscirai, te lo assicuro. Ti incollo qui qualcosa che potrà servirti.


 Modelli di CV Europeo di vari paesi


Ottavo: la casa. Dovrai vivere da qualche parte, lo sai vero? E lo sai che non ci sarà la mammina a portarti il lattuccio in camera e a cucinarti la pasta al forno, i panni non si laveranno da soli e i pavimenti non si puliranno per magia. Condividerai la casa con altre persone, e il più delle volte odierai questa cosa. Bagno in comune, cucina in comune, regole da rispettare, spazzatura da portar fuori: sono tutti cazzi tuoi, non si scappa. O così o niente, ragazzo, perché dubito che tu possa pagare ottocento o mille euro al mese per un appartamento singolo. Ti toccherà cercarti una casa, e in quest'ambito troverai quasi più concorrenza che nel lavoro, ovunque tu vada, perché ormai emigrano tutti e la domanda di alloggi è così alta che i proprietari possono permettersi di scegliere a chi affittare. Il consiglio è quello di spulciare più volte al giorno i siti di annunci di affitti e prendere più appuntamenti possibile, portarti dietro il denaro cash e bloccare la stanza nel caso ti piaccia. Tieni presente che il primo mese dovrai pagare doppio: un mese di affitto anticipato e un altro mese di caparra, quindi torniamo al discorso del budget. Non prenotare e non dar soldi a nessuno mentre sei ancora in Italia, ci sono truffe famosissime a riguardo. La casa la devi vedere con i tuoi occhi e la persona che te la affitta deve ispirarti fiducia. Da come vivrai in questa casa dipenderà l'ottanta percento della tranquillità della tua vita all'estero, dunque scegli bene. Cerca di trovare una zona non troppo costosa ma ben collegata al centro, cerca di capire con che gente andrai a vivere, informati sulla durata del contratto, sulle spese aggiuntive (internet, luce, riscaldamento ecc.), e fa' la scelta che ti sembra migliore. Se non trovi subito ciò che ti sembra fare al caso tuo arrangiati. Io ho dormito per quasi un mese su divani e in stanze di altre persone, ospitato dal buon cuore di gente che ho conosciuto qui. L'ostello è caro, non vuoi starci per più di una settimana.



Bene, ti sembra difficile, vero? Scommetto che ti è già passata la voglia. Vivere all'estero non è una favola, e prima di costruirsi una quotidianità decente passerà del tempo. Ma quando ce l'avrai fatta credimi, non vorrai più tornare indietro. Amerai la tua indipendenza e conoscerai tanta gente, imparerai a venir fuori da qualsiasi situazione e crescerai tanto, guadagnerai più soldi e potrai fare cose cui prima nemmeno ti permettevi di pensare, migliorerai come persona, sarai più forte e scoprirai culture diverse dalla tua con le quale ti piacerà confrontarti. Ricorda: non sei obbligato ad andare in un altro paese, e se lo fai puoi tornare quando vuoi. Ma se lo fai fallo con la coscienza di vivere un'esperienza che sarà unica, pronto ad affrontare le difficoltà e a godere di ogni singolo momento positivo che la vita ti regalerà, consapevole che questi giorni non torneranno. La tua città sarà sempre lì ad accoglierti, ma intanto stai vedendo il mondo. Se dopo questo articolo ci stai ancora pensando, forse sei sulla strada giusta. Io faccio il tifo per te, perché ti conosco, so cosa vuol dire vedere l'estero come ultima possibilità e quanto sia difficile reinventarsi da zero quando hai davanti un vicolo cieco. Buona fortuna, ragazzo. Fammi sapere come va. Brindo alla tua, e spero che un giorno, ovunque tu vada, possa essere felice.

domenica 11 gennaio 2015

Goodfellas: tre romanzi di gangsters

Oh, ieri sera mi sono divertito. Dopo nove ore di lavoro me ne sono andato prima in palestra e poi in centro, ho mangiato junk food e poi mi sono ficcato al sempre mitico Gypsy Rose per farmi una santa bevuta. Di sotto suonavano questi tre brutti ceffi di Cork chiamati Crow Black Chicken: southern rock sporchissimo, camicie da boscaioli e barbe da rednecks, una band fenomenale. Pieno così di gente, fan con le loro magliette, prima di loro un vecchio bluesman che suonava una chitarra costruita con i pezzi di una credenza e batteva il tempo su una grancassa ricavata da una valigia. Cristo, mi sono detto, la serata promette bene. E infatti i Crow Black Chicken hanno spaccato il culo ai passeri, offrendo un concerto che valeva ognuno degli otto euro spesi per vederli.


 
Dopo lo show è arrivato il dj a mettere su le canzoni metal, ed è stato allora che, particolarmente di buon umore e forte di un fascino direttamente proporzionale all'alcol ingerito dalla popolazione femminile presente in loco, sono riuscito a rimediare una sfitinzia la quale, nella migliore tradizione irlandese, si è rifiutata a più riprese di rivelarmi il suo nome. Ho anche rivisto il mio amico Chris, che non avevo ancora beccato dal ritorno a Dublino, e abbiam tirato tardi nonostante la mia stanchezza mortale derivante dall'aver passato circa ventiquattr'ore fuori casa dedicandomi ad attività esecrabili. L'età avanza, ragazzi, ma si tiene botta. Un paio d'anni di questa vita e mi rottamano senza incentivi, ma nel frattempo me la godo.

Oggi vi parlo di tre libri molto belli. Un genere letterario che mi ha affascinato ultimamente è quello che parla di gangsters. Non dei super boss come Al Capone o Pablo Escobar, quelli che dettano le regole del gioco e detengono il potere di enormi organizzazioni criminali, quelli che scatenano guerre e stringono alleanze, che corrompono politici e fanno un sacco di soldi. No, i gangsters che mi interessano di più sono i soldati semplici, i sicari, quelli che le regole della malavita le subiscono e le guerre le combattono in prima persona, quellli che le mani se le sporcano sul serio e finiscono spesso per diventare famosi senza però raggiungere i livelli più alti della piramide alimentare. Gente come Salvatore “Sammy Bull” Gravano, che iniziò come ladruncolo e pugile da strada fino a diventare la guardia del corpo del boss Joe Colombo negli anni '60 e un affiliato della famiglia Gambino, o come Joseph “The Animal” Barbosa, chef sopraffino con tanto di diploma in French Cuisine e sicario al soldo della mafia del New England. Gentaglia, sia ben chiaro, uomini da non ammirare e da assicurare alla giustizia, ma figure in qualche modo interessanti che sembrano uscite dalle pagine dei libri o dalle sceneggiature dei film. E di questi personaggi molti libri sono pieni. Oggi ve ne presento tre.

Il primo romanzo di cui voglio parlare è Così si muore a God's Pocket di Peter Dexter.



Trama: Leon è un giovane pigro e scapestrato che passa da un impiego all'altro senza alcun successo, un fallito che si dà arie da ribelle, un figlio irrispettoso nei confronti della madre. Lavora come muratore in un cantiere; “lavora” per modo di dire, visto che arriva sempre tardi, non si impegna e si permette pure di rispondere male ai colleghi più anziani e perfino al caposquadra. Un giorno, tanto per fargli capire come va il mondo, lo fanno secco lì nel cantiere, fracassandogli la testa. È un errore, un momento di poca lucidità, un gesto istintivo compiuto dal vecchio e pacifico Lucy, l'uomo più buono e tranquillo del mondo. Lucy perde le staffe per un secondo e Leon è morto. Qualcuno lì al cantiere monta un incidente per insabbiare il tutto, ma due persone non sono convinte che sia andata così. Una è l'ambiguo, depresso e disilluso reporter Richard Shelburn, che ha fiutato lo scoop. L'altra è Jeanie, la madre di Leon. Jeanie coinvolge nella ricerca della verità il suo compagno, Mickey Scarpato, il quale si ritrova suo malgrado immischiato in una storia di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Sì, perché Mickey ha già i suoi problemi: per lavoro si occupa di rifornire di carne vari posti, e quello è un racket che appartiene alla Mafia, con cui Mickey ha inevitabilmente dei contatti. Mickey è un brav'uomo, di quelli tutto cuore e niente cervello, e per aiutare la sua donna a far giustizia sulla morte del figlio si metterà nei casini, finendo a girare coi gangsters e ritrovandosi dritto nel mezzo di faide e regolamenti di conti

Commento: inizio col dire che Dexter è stato per me una felice scoperta, uno scrittore di quelli che sanno raccontare senza la voglia di sorprendere a tutti i costi, il classico autore che se ne sta “dietro le quinte” del romanzo lasciando che i personaggi e la trama procedano da soli, senza acrobazie stilistiche o digressioni di alcun tipo. Dexter non ti fa la morale, non pretende di dare un senso a ciò che accade nei suoi scritti e non giudica. Dexter mette i fatti nero su bianco, dall'inizio alla fine, prende un plot semplice e lo trasforma in uno specchio che riflette la vita. La morte del ragazzo in questo libro è solo l'inizio di una storia che ci aiuta a gettare uno sguardo sull'animo umano, soprattutto su quella parte di esso che a volte è così nascosta da apparire insondabile, indicibilmente privata. C'è l'amore ostinato di una madre per un figlio che nessuno oltre a lei ha mai amato, e c'è la voglia di rivalsa di un giornalista da quattro soldi che si è incattivito col mondo e beve per dimenticare se stesso. C'è la testarda cocciutaggine da mulo di Mickey, che cerca di vedere la vita come un insieme di semplici regole che però gli sfuggono di mano, e c'è la riflessione del vecchio Lucy sulla sua colpa, una colpa che né Dio né gli uomini hanno il diritto di giudicare. C'è anche tanto humor, tanti dialoghi che fanno ridere e tante botte, c'è il mondo grossolano, ottuso e in fondo anche comico dei mafiosi italoamericani, ci sono una vecchia cazzutissima e un killer mandato a fare un lavoro sporco. Attraverso questi personaggi Dexter tratteggia uno scorcio di provincia americana con grande onestà, mettendo gli uomini e le donne sotto la lente di ingrandimento e mostrandoceli per quello che sono, con le loro debolezze, i loro difetti e le loro angosce. Non ci sono eroi a God's Pocket. Solo gente normale. Quella che in fin dei conti affascina sempre.
Il libro scorre via che è un piacere e si divora come una buona portata che alla fine ti lascia soddisfatto anche quando hai ormai lavato il piatto e 'hai riposto nella credenza. Questo è il romanzo d'esordio di Peter Dexter come scrittore. Recentemente ne ho comprato un altro che devo ancora iniziare, ma mi aspetto grandi cose.

Il secondo romanzo è Ballata irlandese di Adrian McKinty, autore nato a Belfast, che con questo romanzo si presenta al pubblico italiano grazie alla BUR che lo traduce per la prima volta nella lingua di Dante.



Trama: L'anno è il 1992. Michael è un ragazzo ventenne che vivacchia nella grigia Belfast grazie a qualche lavoretto e al sussidio di disoccupazione. Un giorno fa una cazzata e deve lasciare il paese, prende un aereo e atterra a New York, dove il cattivissimo boss Darkey White gli offre un lavoro come scagnozzo nella Irish Mob, la malavita irlandese. Michael instaura fin da subito un rapporto conflittuale con il suo capo, basato tanto sul rispetto e l'ammirazione quanto sulla voglia di fargli le scarpe (e le corna), cosa che lo porterà a trovarsi nei guai. Michael è convinto di essere un duro, e perdipiù un furbo, si mette in testa di farsi strada fino ai vertici dell'organizzazione e inizia a salire i gradini della gerarchia. Ma Darkey, neanche lui è uno stupido, e si prenderà la sua vendetta. Per Michael inizierà un incubo che lo precipiterà nell'inferno del Messico, dal quale per uscire vivo dovrà lottare con le unghie e i denti, perdendo la sua anima e anche qualcosa di più.

Commento: se avete amato The Departed di Martin Scorsese qui troverete quelle stesse atmosfere, lo stesso mondo della mafia irlandese e le stesse guerre tra gang che insanguinavano le strade americane negli anni '90. McKinty ci mostra tutto questo attraverso gli occhi dell'ultima ruota del carro di un'organizzazione che combatte a suon di bombe e pallottole per conquistarsi la sua fetta di territorio a New york, e lo fa con uno stile duro e veloce che non lascia spazio a momenti di tregua né a cadute di tono. Essenziale, la scrittura di McKinty dipinge con crudo realismo il microcosmo degli irlandesi trapiantati in America e inglobati nel mondo del crimine, con uno sguardo attento tanto alle regole della “famiglia” quanto allo squallore della vita di Michael, costretto a iniziare la sua avventura negli USA dal pidocchioso monolocale che Darkey gli ha trovato. È una storia che parla di ambizione e violenza, di voglia di riscatto e bestialità, di un amore impossibile e di un fato già scritto. La parte centrale ambientata in Messico è onestamente un capolavoro di thrilling e inumanità, non svelo troppo ma vi ritroverete a soffrire con Michael e a mordervi le labbra assistendo ai suoi disperati tentativi di salvarsi la vita e tornare in America. Un libro che, a differenza di quello di Dexter, si concentra totalmente sul personaggio principale, ma che in comune con Così si muore a God's Pocket ha la schiettezza di raccontare una vita destinata al fallimento senza moralismi né pretese di profondità. La storia nuda e cruda, com'è giusto che sia. Pollice in su per McKinty, del quale iniziano ad essere tradotti in italiano altri lavori.

Terzo e ultimo libro è L'inverno di Frankie Machine, di Don Winslow.



Trama: Frankie Machine ha sessantadue anni. Gestisce un negozio di esche sul molo di San Diego, fa surf e si tiene in forma, ha una figlia all'università, una ex moglie e una fidanzata molto più giovane di lui. Ha anche degli amici, non molti, ma gente con cui ogni tanto può scambiare due chiacchiere. Ma soprattutto Frankie Machine ha un passato come killer della Mafia, un passato che ritorna nonostante lui abbia cercato seppellirlo. Frankie viene contattato per risolvere una lite tra famiglie rivali, e non può rifiutare. Mentre fa questo scopre che qualcuno lo vuole morto, e per salvarsi la vita dovrà tornare a essere Frankie “La Macchina”, in una partita in cui in gioco ci sono la sua vita e quella delle persone a lui vicine.

Commento: Don Winslow lo conoscete, vero? Se non lo conoscete è un guaio ragazzi, perché Winslow scrive da dio. Winslow è duro come un pezzo d'asfalto e sa essere freddo come la carne dei cadaveri di cui dissemina i suoi romanzi, ha una conoscenza sterminata del mondo del crimine e la dimostra tratteggiando personaggi che più che da un libro sembrano usciti direttamente da una cella di prigione. I libri di Winslow non li puoi mollare, devi finirli in poche ore, e questo non fa eccezione. L'inverno di Frankie Machine ci risucchia in una spirale di antichi odi e nuovi conflitti, dal quale questo vecchio addestrato per uccidere dovrà uscire grazie al suo cervello, al suo istinto e alle abilità acquisite facendosi le ossa come scagnozzo e sicario. Il romanzo è un alternarsi di narrazione al presente e flashbacks della gioventù malavitosa di Frankie, con picchi di ferocia che colpiscono come pugni nello stomaco. La Mafia americana, quella vera, quella che non perdona e agisce secondo schemi consolidati nei secoli, è tratteggiata fin nei minimi particolari attraverso lo sguardo e i ricordi di chi l'ha vissuta per gran parte della sua esistenza con in mano una pistola, un gregario che a suon di lavori sporchi è diventato una leggenda vivente. Ma Frankie non è più quello di una volta, Frankie oggi vorrebbe solo starsene tranquillo. Il contrasto tra l'uomo che è diventato e quello che era e che deve tornare a essere emerge in tutta la sua drammatica difficoltà nel corso delle pagine di questa storia cupa e in qualche modo epica, dando vita a un piccolo capolavoro che lascia assolutamente soddisfatti e si piazza a pieno titolo tra i capisaldi del genere. Questo è stato il primo romanzo di Winslow che ho letto, altri hanno seguito. Consigliatissimo, un must se se vi piacciono il genere hard boiled e le storie di gangsters.

Finito. Ora si va a pranzo e poi a fare la spesa e poi ci si rilassa. Buona domenica!




domenica 4 gennaio 2015

Bye bye, Boardwalk Empire


Ciao e buon anno a tutti. Oggi parliamo delle cose belle che finiscono. Le vacanze, le storie d'amore, la gioventù, i soldi, i cicli della vita: tutto prima o poi finisce, è un dato di fatto incontrovertibile, se siamo certi di qualcosa in questo porco mondo è che nulla è eterno e che tutto ciò che ha un inizio prima o poi avrà un termine, è una legge di natura e uno non ci può fare niente.

“Oh, però non è giusto!” potrebbe dire qualcuno “Perché le cose più belle non possono durare in eterno?” E invece è giusto, perché se non finissero diventerebbero la routine, e tu non le ricorderesti più come cose belle. Tanto poi ne verranno altre, con un po' di fortuna, ché la vita non finisce mai di stupire e riserva sempre sorprese. Quest'ultima balla, ragazzi, raccontatevela fino a quando non iniziate a crederci sul serio, e vedrete che sarete più felici.



Ma ora basta con la filosofia da bar, perché anche le serie TV finiscono. Finiscono per sempre, com'è naturale che sia, e alcune di esse bisogna salutarle come si deve. Quest'anno si è conclusa Boardwalk Empire, una delle serie TV più memorabili mai prodotte, un vero e proprio capolavoro destinato a restare negli annali assieme a mostri sacri come The Shield, Lost e Breaking Bad. Se non avete mai guardato Boardwalk Empire, ragazzi, smettete di leggere questo articolo e correte a rimediare. Qui si da' un po' per scontato che conosciate la serie e l'abbiate seguita, e se non l'avete fatto peggio per voi, ma siete ancora in tempo. Cercherò di astenermi quanto più posso dagli spoiler, perché non voglio rovinare nulla a chi è un neofita di questo show sul quale si sono sprecati fiumi di inchiostro e spese migliaia di parole di lode. Ma, come detto, un saluto a Boardwalk Empire va fatto. Un ringraziamento, anche, per quelli che sono stati cinque anni di intrattenimento ad altissimi livelli. E scusate se è poco.







Un'analisi

Prodotto dalla HBO e da Martin Scorsese, diretto da Terence Winter e basato sul libro "Boardwalk Empire: The Birth, High Times, and Corruption of Atlantic City" di Nelson Johnson, Boardwalk Empire segue le vicende di Enoch “Nucky” Thompson, spregiudicato uomo politico e affarista senza scrupoli che nel periodo del proibizionismo si fa strada con ogni mezzo per diventare il re del commercio illegale degli alcolici a New Orleans. Per attuare i suoi traffici Nucky stringe alleanze e scatena guerre, fa il doppio gioco con la Mafia, l'IRA e il Ku Klux Klan, unge deputati e senatori a suon di soldi, whiskey e puttane e compra agenti federali come fossero sigarette dal tabaccaio. Boardwalk Empire racconta della sua ascesa verso il potere e delle sue numerose cadute, della sua insaziabile ambizione e disarmante solitudine, ci mostra come un uomo possa distruggere se stesso e tutti quelli che gli stanno intorno per raggiungere uno scopo che alla fine risulta fine a se stesso e non sembra neppure più un premio, ma solo il lontano ricordo di una magnificenza sognata che s'è trasformato nella maledizione di una vita. Tornare indietro è impossibile una volta che hai messo in moto il meccanismo e ne sei divenuto schiavo, così Nucky ballerà fino in fondo la musica che lui stesso ha deciso di suonare, anche quando il ballo gli è venuto a noia, anche quando potrebbe tirarsene fuori e cercare di ricominciare una vita decente. Boardwalk Empire ci mostra cosa accade quando vendi la tua anima al demone dell'ambizione e come i soldi possano fare l'infelicità, descrive un periodo storico assolutamente non dissimile dal nostro in cui lo spazio per gli affetti si riduce fino a scomparire, schiacciato dalle dinamiche del “mors tua, vita mea”. Non vince nessuno, mai, in questa guerra. L'America, continente ai tempi ancora tutto sommato giovane e ricco di opportunità, è il corpo immenso di una donna procace sul quale piccoli e spietati esseri umani si arrampicano falciandosi, uccidendosi e ostacolandosi a vicenda, una folle scalata combattuta con unghie e denti per poter succhiare dalla mammella che aspetta lì in alto, gonfia di promesse. Ognuno crede di essere il prescelto, ognuno pensa di avere carte migliori degli avversari per vincere la partita, ma tutti si sbagliano. Sarà l'America, bella e crudele, ad annientarli, ma non prima di averli ubriacati con il sapore dello scotch e l'odore dei dollari, non prima di averli privati della loro stessa natura d'uomini. Sullo sfondo fiumi d'alcol, locali di cabaret, prostitute, divi d'avanspettacolo, cappellini, parasole, gonne, bettole di quart'ordine. In alto, il cielo blu del New Jersey, indifferente al sangue e alle lacrime che inzuppano il boardwalk man mano che la carneficina va avanti.



Ma Boardwalk Empire non segue solo Nucky Thompson, raccontandoci anche di altri uomini e donne, ed è qui che sta la sua forza. È un'opera corale che regala il giusto spazio a decine di personaggi, ci mostra le loro vite pubbliche e private, la loro battaglia quotidiana, i loro fallimenti e i loro sforzi per rialzarsi ogni volta che cadono. Vedrete i giovani Al Capone e Lucky Luciano farsi strada dal nulla fino ai vertici della malavita, e vedrete lo spiantato Jim Darmody sgomitare per diventare il successore di Nucky. Vedrete criminali di ogni tipo e capirete cosa li muove, e i personaggi “positivi” nella loro battaglia per restare fedeli a se stessi, mentre il mondo attorno a loro scivola giorno dopo giorno verso una barbarie sempre peggiore. Nessuno è immune dal morbo dell'ambizione, amore e soldi sono due facce della stessa sporca medaglia che spinge gli uomini l'uno contro l'altro nella disperata lotta per raggiungere ciò che vogliono o credono di volere. È un'epopea, gente. Una cazzo di grandissima epopea con uno sguardo profondo alla natura umana e ai suoi aspetti peggiori. La bontà la si intravede di tanto in tanto, in uno sguardo o una parola o un abbraccio, ma resta in sottofondo, soffocata da istinti più pressanti. Potenzialmente ci sarebbe del buono in tutti i personaggi di Boardwalk Empire, se solo non fossero nati in quel luogo e in quel tempo, se solo non fossero diventati, per scelta o per destino, ciò che sono.



Il podio degli attori

Boardwalk Empire annovera tra le sue fila i migliori attori nel mondo delle serie TV, inutile girarci attorno. Ogni maledettissimo personaggio è prima di tutto caratterizzato in maniera eccellente, e in secondo luogo interpretato da attori che definire mostruosi non è assolutamente esagerato. Potrei stilare una lista di venti attori e relativi personaggi e ne resterebbero ancora fuori a pacchi, perfino i characters secondari e i gregari sono perfetti. La sceneggiatura ha fatto un lavoro magistrale nel dare vita a queste figure, ma non da meno è stato chi ha scelto il cast, assicurandosi che ogni faccia, ogni presenza scenica, ogni voce e ogni fisico potesse rendere al 100% il personaggio. Complimenti davvero a tutti gli attori, nessuno escluso. Raramente ho visto prove di recitazione raggiungere tali livelli. Ecco ora però il mio personalissimo podio:



III posto – Stephen Graham (Al Capone)



Un metro e sessantacinque centimetri scarsi di furia animalesca, cattiveria pura e pessime battute, Stephen Graham (The Snatch, This is England, Gangs of New York) ci regala un ritratto del giovane Al Capone che completa e arricchisce l'interpretazione di Robert De Niro nel memorabile Gli Intoccabili. Al Capone è consumato da un'ambizione inversamente proporzionale al suo fisico, deciso a farsi strada nel mondo con l'unico mezzo che conosce, la violenza. Al Capone ammazza e tortura, ruba e rapisce, ha scatti di brutalità improvvisi e scoppi di allegria altrettanto inaspettati. Massacra donne e bambini senza l'ombra di un rimorso ma adora la famiglia e cerca di essere un buon padre. A differenza degli altri gangsters italoamericani conserva un certo qual senso dell'onore e dell'amicizia ed è capace di farsi amare, c'è in lui una malinconia nascosta che percepiamo quando sveste la maschera del boss e si mostra per ciò che è: un giovane immigrato che deve fare quello che deve per sopravvivere in una terra straniera. Immenso Graham, mattatore fin dalla prima scena in cui appare, al punto di oscurare altri personaggi più importanti nell'economia della serie.



II posto – Steve Buscemi (Nucky Thompson)


La consacrazione definitiva di un attore che aveva passato la sua carriera a fare da spalla, Boardwalk Empire lo ha ricoperto di premi e riconoscimenti. Golden Globe nel 2011 come miglior attore di una serie TV, Screen Actor Guild Award per due anni di seguito, nominato agli Emmy Award e in altri premi di prestigio. Buscemi sembra aver vissuto e recitato tutta la vita nell'attesa di impersonare Enoch Thompson, il personaggio è fatto apposta per lui, cucitogli addosso come i costosissimi abiti italiani che indossa in scena. Umorismo tagliente, spalle cascanti, sorriso disilluso, quegli strani occhi sempre umidi che all'improvviso diventano crudeli come quelli del diavolo, perforando l'interlocutore come un proiettile, Nucky Thompson è una metafora di come il tuo sogno più prezioso possa sfuggirti di mano e arrivare a dominarti, e di come tu debba imparare a convivere con questa cosa fino al giorno in cui morirai. Un uomo che nella sua vita ha conosciuto tutto e ne porta i segni su ogni ruga del volto, un vincente che sa di aver perso e gioca la sua partita solo per il gusto di provare ancora il brivido del rischio, Nucky Thompson suscita nello spettatore sentimenti che vanno dall'adorazione al ribrezzo, accompagnandoci nell'avventura con la promessa che prima che il sipario cali per sempre proverà ancora un colpo di coda, l'ultima zampata da bastardo tanto per far capire al mondo che lui era e resterà il re di Atlantic City. Un applauso a Buscemi, attore fenomenale.



I posto – Michael Shannon (agente Van Alden/George Mueller)


L'idolo, la scoperta, l'assoluta sorpresa della serie. Van Alden inizia come agente federale pieno di certezze e saldi propositi, poi la sua vita va a puttane e lui cerca di riacchiapparla per i capelli, vive ogni genere di disavventure e prende una valanga di botte, cerca di tenersi ancorato ai suoi vecchi principi anche quando il mondo intorno a lui è totalmente cambiato. Van Alden è il prototipo dell'uomo alla deriva che cerca di tenersi in piedi nella tempesta, il fallito che perde tutto e va comunque avanti, l'uomo sconfitto dal destino che passa da una sfiga all'altra con la stoica rassegnazione di un martire e la cocciutaggine di un mulo. Shannon, attore fantastico, gli regala il suo metro e novanta di statura e la sua faccia che sembra intagliata nella pietra da un artigiano alle prime armi, con quella testa enorme e quegli occhi assurdamente grandi. Gli basta sollevare un sopracciglio per per scatenare le risate del pubblico, le sue frasi sono tanto fuori luogo quanto memorabili, la sua totale inadeguatezza nei confronti delle situazioni che vive è sublime e assurda allo stesso tempo. Van Alden è il personaggio insieme più comico e più drammatico della serie, una specie di cyborg dai movimenti legnosi e dalla parlantina meccanica, grande incassatore tanto di pugni quanto di colpi bassi del destino, antieroe per eccellenza per cui si finisce inevitabilmente per fare il tifo. Anche a Michael Shannon Boardwalk Empire ha fruttato premi, tra i quali lo Screen Actors Guild Award nel 2011 e il Saturn Award nel 2012, tutti meritatissimi.



L'ultima stagione

Le precedenti quattro stagioni di Boardwalk Empire seguono uno scorrere temporale progressivo a partire dal 1920, presentandoci le vicende man mano che si susseguono. La quinta e ultima fa invece un balzo in avanti nel tempo di sette anni portandoci in piena Grande Depressione, il periodo in cui si inizia a parlare di abolire il proibizionismo. Nucky Thompson lavora sottobanco per rientrare alla grande nel commercio degli alcolici una volta che saranno tornati legali, intanto i boss della malavita italiana si combattono con sempre maggiore efferatezza. Come è giusto che sia, l'ultima stagione ci spiega alcune cose lasciate in sospeso; le otto puntate sono infatti un alternarsi di narrazione al presente e flashbacks dell'infanzia e dell'adolescenza di Nucky ad Atatlintic City, momenti della sua vita passata che ci mostrano come, quando e perché è diventato ciò che è. Attraverso gli occhi del Nucky bambino (interpretato dal giovanissimo e già molto bravo Nolan Lyons) e poi del Nucky giovane uomo (Marc Pickering) scopriremo in che modo Thompson sia cresciuto e quali siano state le circostanze che lo hanno portato a diventare un uomo potente, ma soprattutto avremo modo di conoscere la figura che ha lasciato un'impronta indelebile sulla sua anima, colui che lo plasmò sin dai primi anni, trasformandolo nell'uomo che conosciamo. Si tratta di una discesa verso l'inferno, un progressivo addentrarsi verso la disillusione e il marcio che il potere nasconde, l'iniziazione di un innocente che poco a poco viene contaminato da una realtà che forse aveva sempre immaginato, ma che si rivela più sordida e abominevole del previsto. Nucky non è però scappato da quella minaccia, anzi vi si è inchinato, perché l'ambizione era già forte in lui ed egli aveva compreso, pur giovane, che la strada per il successo passava di lì. Vincerà una città, ma perderà per sempre se stesso. Il resto è storia presente. Il resto è quanto resta dell'ultima stagione, raccontato mentre le cose accadono.

Quello che accade è l'ultima brutale battaglia per il dominio di Atlantic City. Nucky tenterà di tenere duro mentre il suo regno gli si sgretola sempre più sotto i piedi, i vecchi amici cadono e gli antichi rivali sembrano essere diventati più forti di lui. In questa ultima stagione si raggiungono picchi di durezza, violenza e drammaticità incommensurabili, il sipario cala con la forza di un coperchio di bara sui personaggi e i colpi di scena si susseguono con un ritmo vertiginoso mentre i nodi vengono al pettine con l'inesorabilità di un fato da tragedia. Nessuno scampa al proprio destino, in pochi riescono a fare ammenda per i propri peccati, nessuno vede una salvezza che è troppo tardi anche solo per invocare. Si chiudono la storia di Al Capone, una bestia dedita alla violenza che nell'ultima puntata ci viene presentato in tutta la sua disarmante umanità di padre, e quella di Eli, il fratello di Nucky, che forse ne esce un po' meglio degli altri, ma comunque distrutto. Si chiudono le storie di Chalky White, il nero senza catene che sognava di essere un gangster, e quella del Dottor Narcisse, un altro nero che progettava la riscossa afroamericana attraverso i guadagni del commercio dell'eroina. Ci salutano Margaret, la timida irlandese, lo sciocco Mickey Doyle, quella vecchia prugna rinsecchita di Johnny Torrio e tutti gli altri. E poi si chiude. Si chiude con un finale che torna lì da dove tutto è partito, da quell'Atlantic City di fine '800 in cui Nucky Thompson muoveva, bambino, i primi passi verso il successo, scavandosi contemporaneamente la tomba. Perché si può sfuggire quasi a tutto, e si può essere perdonati quasi per ogni cosa, eccetto le nefandezze che ci rimangono sull'anima come una macchia indelebile. Quelle si pagano, sempre, non importa quanto tempo possa passare. Boardwalk Empire ci lascia con questa lezione, i titoli di coda ci consegnano una giustizia quasi divina e la musica che suona alla fine dell'ultimo episodio dell'ultima stagione hanno il sapore agrodolce di qualcosa che sapevamo doveva andare così, ma che vorremmo fosse andato diversamente. Ma non sarebbe stato reale. Non sarebbe stata la vita. Perché la vita, quella vera, alla fine il conto te lo presenta sempre.



Siamo alla fine. Guardate Boardwalk Empire se non l'avete ancora fatto. Non ve ne pentirete, anzi capirete come, in questi tempi spesso caratterizzati dalla mediocrità e dalla faciloneria in campo artistico, si possa ancora fare dell'arte a grandi livelli. Se è una storia che cercate, Boardwalk Empire ve la regalerà, mostrandovi nel contempo cosa sono la vita, la morte e tutto quello che c'è in mezzo. E, come ho detto prima, scusate se è poco. Vi lascio con una delle frasi più belle, promunciate dal Dottor Narcisse, che a mio parere racchiude tutto il significato della serie, e anche il significato di qualcosa di ben più grande:



“To be what we are, where we are, and still dare to be free. What could be more lonely?”

Bye bye, Boardwalk Empire. E grazie.