domenica 12 aprile 2015

"Z Nation" vs "The Walking Dead": non c'è partita

The Walking Dead:
"Sigh, sob, il mondo è finito, c'è stata un'apocalisse e le città sono piene di zombie che si muovono lentissimi e a me in fondo dispiace ammazzarli, io sono un poliziotto dal cuore tenero e c'ho pure un bambino cui devo badare. Formiamo un gruppo per non sentirci soli, iniziamo una specie di telenovela sull'intreccio dei rapporti tra i personaggi e ogni tanto ammazziamo qualche zombie. Vagando attraverso gli Stati Uniti alla fine giungeremo in un luogo misterioso dove scopriremo un GOMBLOTTO che getterà nuova luce su questi avvenimenti nefasti e ci porterà più lontano, dandoci la possibilità di riflettere su noi stessi e su ciò che proviamo neanche fossimo in un film di Ozpetek. Scusateci se vi annoierete. Il nostro scopo è disquisire sulla natura umana quando le leggi della società vengono meno e l'uomo si ritrova davanti all'atavico bivio che da una parte conduce all'abbandonarsi agli istinti più bestiali e dall'altra alla dolorosa conservazione di quei principi morali che lo differenziano dalle specie inferiori.
Come dite? Ho uno zombie attaccato alla gamba che mi sta masticando il polpaccio? Oh, deve essere così affamato, poverino, sigh, sob..."


Z Nation:
"Porca puttana, il mondo è finito, c'è stata un'apocalisse e le città sono piene di zombie che si muovono come centometristi impasticcati di speed e io in fondo godo ad ammazzarli, io sono un ex sergente della Guardia Nazionale e ho un martello con cui sfondo i crani di questi cadaveri ambulanti come fossero gusci d'uovo. Formiamo un gruppo con lo scopo di sopravvivere, mettiamoci dentro tre tettone di etnie diverse, un dottore hippie appassionato di droghe, un ragazzino con una mira infallibile e un belloccio biondino e facciamoci un coast-to-coast negli USA per accompagnare in California un ex-galeotto nel cui DNA risiede l'unica speranza della razza umana. Viaggiando attraverso gli Stati Uniti con l'unico aiuto di un nerd intrappolato in una base polare che comunica con noi per mezzo di sistemi satellitari massacreremo caterve di zombie usando mazze chiodate, fionde, motoseghe, frullatori, bombe a mano e chi più ne ha più ne metta, e alla fine incontreremo un supercattivo pazzo come una scimmia schizofrenica. 
Scusateci per la violenza, ma questa è l'apocalisse e dobbiamo sopravvivere.
Come dite? Uno zombie si avvicina? Datemi un attimo... BANG! Ecco fatto. Oh, cazzo, non era uno zombie..."


Okay, non era difficile fare meglio di The Walking Dead, quindi non ci spelleremo le mani ad applaudire Z Nation. Più che altro interessa forse capire perché questa serie TV uscita da poco e arrivata alla fine della prima stagione ha funzionato. Ha funzionato perché Z Nation è quello che una serie sugli zombie dovrebbe essere, e perché segue con fedeltà la lezione romeriana marchiata a fuoco sin dal lontano 1978 con L'alba dei morti viventi.

Creato da Karl Schaefer e Craig Engler e trasmesso dalla Syfy, Z Nation si basa su una premessa semplice ma interessante, un'idea che da sola è in grado di giustificare la trama: Murphy (interpretato da Keith Allan), un galeotto su cui una dottoressa ha testato un vaccino sperimentale anti-zombie, è l'unico essere umano sopravvissuto ai morsi dei morti viventi senza restarne infettato. Nel suo sangue risiede il vaccino, e quindi è l'uomo più importante del mondo, tanto che un gruppo di uomini e donne rischierà tutto per farlo arrivare in un laboratorio in California. 

La trama è tutta qui. Il resto sono puntate strutturate come livelli di un videogame, in cui i protagonisti devono falcidiare orde di zombie usando le armi più disparate. L'intreccio è se vogliamo stupidotto, ma l'adrenalina è sempre alta, l'azione è veloce e ci sono ettolitri di sangue, quintali di budella esposte e tonnellate di cervelli che schizzano ovunque. Allan è l'unico attore degno di nota del cast insieme forse a Russell Hodgkinson che interpreta Doc, per il resto siamo su un livello di recitazione mediocre ma sapete una cosa? Chi se ne frega. Tra battutacce, zombie ridicolizzati in perfetto stile romeriano, attrici poco vestite e violenza a go-go Zombie Nation rappresenta un intrattenimento perfetto, la classica serie da guardare per riposare il cervello dopo una dura giornata di lavoro. I creatori lasciano ad altri il compito di addentrarsi in tematiche profonde e riflessioni esistenziali, preferendo concentrarsi sull'azione e sull'umorismo. E non ci sono limiti alla violenza, non c'è quel "politically correct" che dava tanto fastidio in The Walking Dead. Se apocalisse deve essere, che apocalisse sia, e allora via con neonati zombie massacrati a martellate, biker assassini, comunità di cannibali, zombie mangiataori di viagra che se ne vanno in giro a uccello duro e chi più ne ha più ne metta. Okay, non è Sherlock e non è nemmeno True Detective, ma credo che ormai ci foste arrivati, no?


"Nice shot, kid!"

Insomma, Z Nation si fa preferire a The Walking Dead perché non pretende. Z Nation è grossolano, dozzinale, sboccato, truculento, fracassone, demenziale, insomma tutto quel che una serie TV sugli zombie dovrebbe essere, perché mica vogliamo davvero essere seri quando parliamo di morti viventi?
Serie consigliata a patto che non vi aspettiate un capolavoro, e il vostro obbiettivo sia solo farvi quattro risate insieme a un pugno di personaggi che, inevitabilmente, finiranno per starvi simpatici.

See you.
And aim for the head!

lunedì 6 aprile 2015

"Il cuore nero di Paris Trout" di Pete Dexter

Se seguite questo blog ricorderete forse che avevo già parlato di Pete Dexter in questo post dedicato ai romanzi di gangsters, dove Dexter veniva citato per il suo bel "Così si muore a God's Pocket". Era, quello, un romanzo dal taglio umoristico in cui si rideva amaro, una dissertazione sull'animo umano e sulla società americana che assumeva toni a volte leggeri e altre molto profondi, in cui il comico e il tragico andavano perfettamente a braccetto ricreando uno spaccato della provincia a stelle e strisce in cui si muovevano personaggi perfettamente caratterizzati. Avevo espresso la volontà di leggere di più di Dexter, e infatti mi son comprato un altro suo romanzo, "Il cuore nero di Paris Trout".



Cotton Point, Georgia. Neri e bianchi convivono gomito a gomito in uno spazio che sembra troppo piccolo per le differenze e le diffidenze che esistono tra loro, povertà e benessere sono alla portata di una svolta d'angolo e i diritti non sono uguali per tutti. Paris Trout è un quasi sessantenne con una madre in ospizio e un negozio che usa anche come ufficio per prestare denaro. Lo gestisce insieme alla moglie Hanna, che per sposarlo ha rinunciato ai sogni di una carriera come insegnante, salvo poi pentirsene quando ha scoperto chi era davvero suo marito. 
Sì, perché Paris Trout è cattivo. Più che cattivo. Paris Trout è ossessionato, disturbato, a tratti inumano. Paris Trout è un uomo che vive secondo dei principi che sono solo suoi, e si attiene ad essi anche se il resto del mondo non li riconosce. Paris Trout presta denaro indifferentemente a bianchi e neri, non fa discriminazioni in questo. Pretende solo una cosa: di essere pagato. 

Ma un giorno accade qualcosa. Uno dei ragazzi di colore cui ha prestato soldi non può pagare, così Trout si reca a casa sua per riscuotere e commette qualcosa per cui l'intera città inizierà a temerlo, riconoscendolo per il mostro che avevano sempre sospettato che fosse. Da qui in poi la sua anima precipita all'inferno e la sua mente cessa di essere lucida, e Paris Trout inizia la sua guerra personale contro i tribunali, contro la moglie, contro l'intera nazione degli Stati Uniti. Nessuno riuscirà a farlo ragionare, e chi si metterà sulla sua strada avrà l'occasione, guardando nei suoi occhi, di assaporare il più oscuro e raccapricciante segreto che attanaglia alcuni esseri umani. Finirà male per Cotton Point, malissimo. Paris Trout lascerà nella cittadina un segno indelebile, rovinando, come un morbo che contagia tutti gli organismi che incontra, le vite di coloro che avranno la sfortuna di gravitare nella sua orbita. 

Fenomenale romanzo che sbugiarda il Sogno Americano e indaga le radici del razzismo insito nell'animo di una popolazione che, a livello inconscio, non ha forse mai fatto i conti con se stessa e con le sue origini. "Il cuore Nero di Paris Trout" raggiunge cime di tensione drammatica e di profondità contenutistica raramente riscontrate altrove, arrischiandosi a indagare i territori insondabili della pazzia e dell'ossessione tramite la vita di Paris Trout, un uomo che vive come se fosse il solo essere umano in un mondo popolato di formiche. Paranoico, avaro, pieno di pistole e fucili con cui difende il suo patrimonio, diffidente nei confronti del fisco e del governo, razzista ma disposto a fare affari con tutti, Paris Trout è l'icona di un tipo d'americano duro a morire, l'uomo che si è fatto da solo e che non accetta che nessuno, né la legge né il prossimo, gli mettano i bastoni tra le ruote. 

Paris Trout non ama sua moglie e non ha amici, ha dei principi che sono chiari solo a lui e non capisce come gira il mondo. Ha anche una determinazione incrollabile, e non esita a infrangere la legge per salvarsi dalla galera quando le cose per lui si mettono male. Ma quello che succede all'inizio della storia, anche se non lo ammetterà mai, lo segnerà in maniera indelebile. Impazzisce pian piano, Trout, come il Mazzarò verghiano di "La roba". "La roba", "la roba", sempre "la roba". Proprio come Mazzarò, Paris Trout accumula beni e ricchezze senza uno scopo preciso, per il solo gusto di possedere, perché altro non sa fare. Ma "la roba", come ci ha già mostrato Verga, non "se ne viene con te" quando muori. "La roba" è solo roba. Anche se per essa uomini come Paris Trout sono disposti a uccidere. 

Paris Trout non lascia nessuno di quelli che incontra indenne. Distrugge vite e ne contamina altre, ossessiona come un incubo la mente di sua moglie Hanna, degli avvocati Seagraves e Bonner, dello sceriffo della città. Paris Trout è lo specchio che mostra ciò che non vuoi vedere, quegli aspetti di te che ti sei sempre sforzato di nascondere e che detesti, che ti sei illuso non esistessero. Alla fine andrà via, non senza rumore e non prima che il sangue sia stato sparso, ma lascerà una cicatrice profonda su Cotton Point. E forse, per sempre, ci si chiederà se in fondo non siamo tutti un po' come lui, come dichiarato sul Washington Post in proposito di questo romanzo il cui successo sta "nel ricordare a tutti noi - con assoluta lucidità e pungente franchezza - fino a che punto siamo capaci di negare il razzismo che portiamo nell'anima per convincerci che siamo innocenti".

Stile duro e senza fronzoli, ritmo serrato, approfondimenti psicologici e sociali sempre a fuoco, questo romanzo proietta Dexter nell'olimpo dei grandi scrittori americani contemporanei. Il libro è stato premiato con il National Book Award ed è ritenuto al momento il capolavoro di Dexter, ed è una lettura assolutamente consigliata per chi vuole indagare sulle zone d'ombra non solo della cultura americana, ma dell'animo umano in generale, su quelle aberrazioni dell'esistenza e della coscienza che generano mostri che a prima vista sembrano cittadini rispettabili, e che per questo fanno più paura di licantropi, zombie e vampiri.