L'estate, dunque. L'estate mi fa pensare a tante belle cose, tanti ricordi di quando ero disoccupato a Salerno e non facevo una mazza dal mattino alla sera, aggirandomi tra un bar e l'altro alla ricerca di qualsiasi cosa potesse rappresentare un diversivo alla monotonia di un'esistenza che definire becera sarebbe un'eufemismo lontano dalla realtà più o meno come io lo sono da casa. Vivevo come un morto vivente. D'estate. L'estate dei morti viventi. Aspetta, c'è un libro con questo titolo, e io l'ho letto. Ed era bello! Ecco l'antidoto a Dickens, parliamo di questo!
Parliamo di horror. Mi capita spesso di sentire o leggere di appassionati di horror che, a ragione, si lamentano dell'odierna scarsità di tematiche innovative in questo genere, puntando l'accento su come, in letteratura così come nel cinema, si sia verificato un livellamento verso il basso che sembra soffocare l'emergere di nuovi argomenti e nuovi punti di vista da cui guardare alla materia in esame. "The Walking Dead", ragazzi, e non aggiungo altro. Cioè, dico, "The Walking Dead". Il Festival di San Remo ha sicuramente più colpi di scena, gli zombi sono più cattivi (Masini, Grignani e Nek col cacchio che li butti giù con le sei pallottole nel tamburo di una Colt) e il buonismo è più o meno uguale, anche se San Remo fa obbiettivamente più paura. "The Walking Dead". No grazie. Parliamo d'altro.
Che poi se invece di guardare la serie leggete il fumetto, lo troverete bello bello bello
Adesso parliamo di John Ajvide Lindqvist. Svedese, classe '68, il Nostro diviene famoso tra il grande pubblico grazie al romanzo "Lasciami Entrare", da cui viene tratto anche un film che riscuote un buon successo. La tematica non è certo innovativa, ma lo è il modo in cui l'autore la affronta: più che ai mostri, al sangue e alla violenza Lindqvist si mostra interessato alle reazioni dei protagonisti di fronte al sovrannaturale che sconvolge la normalità, riempiendo i suoi scritti di emozioni e sentimenti assolutamente umani e guarnendo il tutto di significati tutt'altro che banali, che conferiscono alla sua letteratura horror uno spessore in grado di travalicare il semplice e ripetitivo canovaccio del genere. Questa cosa gli riesce perfettamente nel romanzo che segue, "L'Estate dei Morti Viventi". Vediamo perché e come.
In un'estate assurdamente calda per Stoccolma, una sorta di tempesta magnetica manda in tilt le apparecchiature elettriche, causando di lì a poco un'epidemia di emicrania collettiva. Ma è solo l'inizio. Presto infatti si sparge la notizia, impossibile da nascondere per i media, che i cadaveri si stanno risvegliando. La città precipita nel caos, il governo tenta di arginare il fenomeno come può, ma ciò non impedisce ad alcuni defunti di tornare a casa, alla vita di cui serbano ancora brandelli di ricordi nel loro cervello distrutto, e tentare, in una goffa, miserabile e tristissima parodia di ciò che una volta era stato, di ricominciare lì da dove la morte aveva interrotto la loro esistenza.
"L'Estate dei Morti Viventi" segue le vicende di alcune persone che si vedono ricomparire davanti i familiari deceduti e creduti persi per sempre, descrive tutto l'orrore, la speranza e le difficoltà di approccio di un essere umano che deve fare i conti con qualcosa per cui tutti preghiamo, ma che non osiamo immaginare davvero: il ritorno di un caro estinto. Eccolo lì, il vecchio marito con cui la signora ha trascorso quasi tutta la vita, ripresentarsi sulla soglia con lo sguardo privo di coscienza, entrare in casa e accomodarsi sulla sua sedia preferita, ecco figlie, fratelli e mogli spentisi prima del tempo che tornano alle case, alle famiglie, alle vecchie stanze, mossi da un istinto che guida i loro passi incerti verso ciò che in qualche modo sanno essergli appartenuto. Ma non è facile, non è plausibile e in fin dei conti non è neppure giusto vivere in questo modo, quello che sta accadendo è un'aberrazione dell'ordine naturale delle cose ed è qui che esplode il lacerante contrasto interiore dei vivi, la lotta tra il loro invincibile amore per i morti ritornati a casa e la consapevolezza che non sarà mai più come prima, che queste cose risvegliatesi dalle bare e dai letti d'obitorio non sono che simulacri di ciò che una volta erano i loro cari. In questo libro il "bang bang!" viene in secondo piano rispetto all'elemento psicologico ed emozionale, ciò che a Lindqvist interessa è mostrarci le reazioni dei vivi più che le azioni dei morti, è un libro intriso di una malinconia schiacciante e di una profondità di contenuti che difficilmente troverete in altre opere di genere horror. Il finale, poi, è forse la migliore teorizzazione dell'Aldilà che io abbia mai letto, un capolavoro nel capolavoro, uno sguardo pieno di speranza a quello che ci attende quando lasceremo questo mondo, un delicato, straziante, poetico addio alla vita che permette ai personaggi e al lettore di riconciliarsi con l'idea insopportabile della perdita, del distacco. Ve lo dico: se non piangerete leggendo il finale di questo libro allora avete qualcosa che non va. E se non lo leggerete, allora non lamentatevi che l'horror è tutto uguale e che non ci sono scrittori che affrontano la materia da angolazioni differenti. Perché invece ci sono.
Un saluto. Qui c'è ancora il sole. Per ora.