venerdì 15 maggio 2015

Banshee: la formula di un successo televisivo

Prima di iniziare, due parole sul banner che vedete nella sidebar del blog: si tratta del mio nuovo romanzo, un pulp/thriller umoristico ambientato nel sud Italia. Chi l'ha letto finora ne è rimasto positivamente impressionato, si tratta anche di un romanzo piuttosto autobiografico per certi versi, differente dalle cose che ho scritto in precedenza e che scrivo di solito. Scazzottate, criminali, droga e situazioni al limite dell'assurdo, roba che qualcuno (forse dopo aver fumato roba buona) ha paragonato a una sceneggiatura di Tarantino e altri all'Ispettore Coliandro di Lucarelli. Se ci cliccate sopra vi porta alla pagina Amazon dove lo potete acquistare in formato ebook a un prezzo decisamente contenuto, e se decidete di farlo mandatemi pure due righe per farvi sapere se vi è piaciuto. Stop alla pubblicità, parliamo della miglior serie TV degli ultimi tre anni. Parliamo di Banshee e dei motivi del suo successo.







Prodotto dalla Cinemax e creato da Jonathan Tropper e David Schickler della Your Face Goes Here, Banshee narra le gesta di un ex-galeotto incarcerato per furto (di cui non conosceremo mai il vero nome) che, scontata la condanna, si reca in una cittadina della Pennsylvania (Banshee, appunto) per rivedere la sua vecchia amante e complice, che adesso ha cambiato nome, uomo e vita. Da qui, fin dalla prima puntata, una serie assurda e convulsa di eventi lo porterà a ritrovarsi a impersonare il defunto sceriffo locale Lucas Hood, e a dividersi tra una vita al servizio della legge e un'altra parallela, in cui continua la sua attività di ladro. La sua indole inquieta lo porterà a farsi un fottìo di nemici di quelli brutti e cattivi, ma brutti e cattivi davvero, mentre tramite flashbacks recuperemo il suo passato e tutto il dolore che ha dovuto sopportare quando era più giovane. Intanto scoprirà anche di essere padre, e dovrà gestire il difficile rapporto con una figlia adolescente e ribelle che fino ad ora ha ignorato la sua esistenza.

Se vi sembra una storia semplice e tutto sommato non tanto originale, be', vuol dire che non avete guardato la serie. A partire da questo plot Banshee si sviluppa in così tante situazioni e sottotrame da costituire una sorpresa continua, un vero capolavoro di sceneggiatura che solo in alcuni brevi punti della seconda stagione accusa piccoli cedimenti, riprendendosi poi alla grande nella terza. Inutile parlare della prima stagione, perché è a mio parere un capolavoro assoluto.



Il cast:

Senza pescare nomi di grido, Banshee si dota di una squadra di attori assolutamente fantastici e perfettamente a loro agio nei ruoli che interpretano. Prendiamo Lucas Hood, interpretato da Anthony Starr: Starr ha tre espressioni davanti alla macchina da presa: quella in cui è incazzato prima di rompere il culo a qualcuno, quella in cui sta per piangere e fa gli occhioni da cerbiatto e quella in cui sorride e gli si vedono tutte le rughe intorno agli occhi. Eppure il personaggio gli calza a pennello, cucitogli addosso con maestria innegabile, al punto che per questo attore sarà difficile intrepetare altri ruoli senza che il pubblico si aspetti di vederlo comportarsi come Hood. 

Hood al termine della scazzottata quotidiana
 

E che dire di Hoon Lee nei panni del gayssimo Job, l'amico di sempre di Hood, mago dei computer, esperto di arti marziali e fanatico di moda? Ogni maledettissima battuta di Lee fa scompisciare dalle risate, al punto che nei pochi episodi in cui non appare la sua assenza si nota eccome, ogni sua singola apparizione sulla scena, espressione facciale o gesto è studiato nei dettagli per conferire profondità al personaggio. 

Job in uno dei suoi outfit più sobri
 

Per non parlare di Ulrich Tomsen (nei panni del boss criminale olandese Kai Proctor), che con il suo sguardo di ghiaccio e il suo parlare tagliente riesce a farsi amare e odiare allo stesso tempo. 


Quando non ficca qualcuno nella tritacarne del suo mattatoio, Kai Proctor appare una persona del tutto normale
 

Sono solo tre esempi, ma spero che bastino per farvi un'idea del lavoro che c'è dietro alla scelta di questo cast, meticoloso a dir poco. E poi, seguendo a parlare di questo, una nota a parte la merita...



Il cast femminile:

Semplicemente, in Banshee ci sono le attrici più fighe mai viste sul piccolo schermo. Punto. Da Ivana Milicevic (Anastasia/Carrie, la donna di Hood) a Trieste Kelly Dunn (la poliziotta Siobhan Kelly), passando per la stupenda Odette Annable (nei panni di Nola Longshadow) e terminando con quel dono di Dio che è Lili Simmons (Rebecca Bowman), Banshee è una gioia per gli occhi di qualunque maschio, una scelta furba della produzione per inchiodare lo spettatore allo schermo laddove questi non trovi altri motivi di interesse. Non ci credete? Ecco...



Ivana Milicevic


Trieste Kelly Dunn

Odette Annable 

Lili Simmons

Siete ancora vivi? Okay, andiamo avanti...
La caratterizzazione dei personaggi:
Banshee è un piccolo vademecum su come si creano e si sviluppano i personaggi. Ognuno di esso, da quelli principali a quelli secondari, ha una sua storia e un passato che viene mostrato e raccontato per conferire loro spessore, cosa che insieme ai dialoghi fantastici contribuisce a renderli parte integrante della storia. Quando poi i personaggi si incontrano al culmine di situazioni di tensione narrativa (spesso questo significa la morte di uno di loro) lo spettatore, che ne conosce il background, si ritrova a fare il tifo per l'uno o per l'altro a seconda delle inclinazioni personali, senza essere sicuro di chi avrà la meglio. Sì perché la serie è pervasa da un gusto per il character killing degno de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin, dove non è affatto scontato che un personaggio primario sopravviva allo scontro con una comparsa, e dove la morte è sempre in agguato pronta a farci saltare sulla sedia esclamando "cazzo, no, non lui!"



Il sesso spinto:

Una volta che abbiamo attrici così, le vogliamo vedere vestite? Neanche a parlarne! Un'altra scelta smart di Banshee, una specie di marchio di fabbrica, sono le scene di sesso al limite del soft porno. Soprattutto nella prima stagione, ma un po' in tutte e tre, non passa puntata dove qualcuno non scopi di brutto, e all'immaginazione viene lasciato davvero poco. Il sesso non è comunque messo lì a casaccio, ma piuttosto rappresenta una tra le tante pulsioni ai quali i personaggi cedono, assieme alla brama di soldi e potere, una delle molle che li mette in moto e li spinge a rischiare tutto pur di ottenere ciò che vogliono.



La violenza e le sequenze di combattimento:

Banshee non ci va giù leggero in quanto a violenza. Tra gente ammazzata con bottiglie di ketchup infilate in gola, teste mozzate da autotreni in corsa, carotidi strappate a mani nude e torture di tutti i tipi il sangue scorre a fiumi e senza alcuna censura, catapultando la serie nella categoria delle strictly over 18. La sceneggiatura e il montaggio si compiacciono di questa scelta e giocano con la violenza estrema rendendo ogni morte una piccola opera d'arte visuale, senza mai scivolare nel pacchiano e nel banale.



Una nota a parte per i combattimenti, i migliori mai visti in TV (ma mi dicono che Daredevil in questo senso li abbia superati, vedremo). Praticamente ogni attore di Banshee, donne incluse, è un semi-professionista di arti marziali e uno stuntman capace, e l'allenamento prima di girare ogni puntata deve essere tutt'altro che semplice. Sequenze di combattimento lunghissime, estenuanti, maledettamente reali, dove la camera fa meraviglie con le inquadrature e i punti di vista e i colpi lasciano il segno sulla carne e le ossa come raramente s'è visto altrove. La squadra di coreografi messa insieme dalla produzione per curare questo aspetto è mostruosa, i combattimenti appaiono non realistici, ma reali in tutto e per tutto, e non ce n'è uno uguale all'altro, ognuno di essi resta impresso nella memoria e vi ritroverete a guardarli e riguardarli più volte perché sono così e articolati e frenetici che inevitabilmente vi sarà sfuggito qualcosa. Leve, proiezioni, grappling, armi non convenzionali, Kung-Fu, pugilato, Ju-Justsu, c'è di tutto. Un altro trademark della serie, senza ombra di dubbio.



Carrie e il suo nuovo marito Gordon si bevono un gruppo di ragzzini in una piscina.


Le tematiche:

In Banshee c'è una delle più belle storie d'amore che io abbia mai visto. Hood e Anastasia, Anastasia e Hood. Il loro passato, il presente e un futuro difficile da immaginare, perché le loro vite sono cambiate ed è passato troppo dolore tra loro, troppe lacrime e troppa morte. Hood è l'uomo che non si arrende, che non accetta che le cose siano cambiate, che vuole riprendersi la sua donna a ogni costo. Anastasia è la donna che vuole cambiare vita e vivere in maniera normale, anche rinunciando al vero amore, ostinata nella ricerca di una serenità che non ha mai avuto. In tre stagioni vedremo il loro rapporto evolversi e cambiare, li vedremo provarci e arrendersi, mollarsi e riprendersi, tradirsi, tentare di dimenticarsi, picchiarsi e dormire insieme. L'amore come ponte lanciato al di là di tutto, forza inarrestabile che avvicina persone che dovrebbero, per il loro stesso bene, tenersi lontane l'una dall'altra. Non si può però cancellare quello che è stato, e la quarta stagione probabilmente metterà un punto deciso sulla loro storia, per adesso ancora in bilico.



Anche il rapporto tra Hood e sua figlia Deva (interpretata dalla giovane e brava Ryann Shane) è molto ben strutturato e costituisce una delle trame principali. La difficoltà dello scoprirsi genitore quando si è condotta una vita senza radici e sempre in fuga trasforma Hood in un uomo goffo e impacciato, combattuto tra l'istinto di mollare tutto e fregarsene e quello paterno che invece gli dice che dovrebbe restare e prendersi cura di questa ragazzina. Pian piano vedremo il ghiaccio tra i due sciogliersi e il rancore dissiparsi, diventare complici e scoprire affinità che non avrebbero mai creduto di avere.



Ultimo aspetto, i sentimenti negativi che muovono molti dei personaggi della serie. Come detto, in Banshee i cattivi sono cattivi davvero, dei veri bastardi che non esitano ad arrampicarsi su cumuli di cadaveri per raggiungere i loro scopi. I soldi, il sesso, il potere, la prevaricazione, la gelosia, il possesso, la vendetta, sono la scintilla che dà vita agli incendi personali che bruciano l'anima di questi villains, spesso spingendoli molto al di là di quanto si fossero prefissati. Non si redime nessuno in Banshee, semmai il contrario. Personaggi che all'inizio appaiono tutto sommato positivi subiscono un twist verso la cattiveria che li trascina verso un baratro inevitabile, unendosi ad altri personaggi cattivi che a loro volta si uniscono o combattono altri. In sottofondo, la tematica della malvagità intrinseca dell'animo umano vista spesso non come fine a se stessa, ma come strumento naturale e funzionale al raggiungimento di soddisfazioni terrene. Non si va da nessuna parte facendo i buoni, questo è poco ma sicuro. Non a Banshee, almeno.



Per chiudere, da tre anni a questa parte Banshee è a mio parere la miglior serie TV in circolazione, capace di rivaleggiare con capolavori passati come Breaking Bad e The Shield. Non so quante stagioni ci saranno, ma l'enorme successo riscontrato e l'adorazione al limite del fanatismo dei fan (cercate su Internet, resterete sorpresi) mi fa pensare che abbiamo davanti ancora molti episodi di questa serie, perché un prodotto del genere è una macchina da soldi e alla Cinemax non credo proprio siano degli sprovveduti.



Bene, io ve l'ho detto, se non lo guardate peggio per voi. Un saluto, e a presto!

domenica 3 maggio 2015

"Urban Gothic" e "Ghoul" - due romanzi di Brian Keene

Casini. Ho dei casini, ragazzi, e alcuni sono brutti. Pessime giornate e mal di schiena, due di picche, nottatacce, sbronze cattive, mezze risse, illusioni, voli pindarici, indecisioni, gatti che mi seguono dopo il tramonto, autobus che non passano, bruciori di stomaco, ragni giganti, coinquilini, colleghi, pioggia e vento. Casini. Come li hanno tutti, ma a volte sono un po' troppi. Mi tengono lontano dal blog, distolgono la mia mente dalla concentrazione di cui avrei bisogno, sottraggono linfa vitale alla mia creatività, in altri termini mi scassano il cazzo. Quando uno ha dei casini che fa? Pensa a chi sta peggio di lui per consolarsi. E chi è che sta peggio di tutti? Be', chiaro: i personaggi dei libri horror, quei poveri cristi che ne passano di tutti i colori e si spaventano a morte, sanguinano, crepano a frotte come mosche solo per regalarci qualche ora di intrattenimento e farci volare via dai casini della vita reale che ci attanagliano.

Così, deciso a fuggire dalla mia miserabile realtà, ho letto due libri di Brian Keene, autore horror americano molto aprrezzato che alcuni ritengono (non del tutto a torto, ma non completamente a ragione) una sorta di erede di Stephen King. Keene non mi ha troppo impressionato con il primo libro che ho letto, mentre il secondo mi è piaciuto molto. I libri sono, nell'ordine, Urban Gothic e Ghoul.




Autore ormai affermato e pluripremiato (tra i riconoscimenti più prestigiosi il Bram Stoker Award ricevuto per il romanzo The Rising), Keene è uno scrittore che ha imparato molto bene la lezione di King e l'ha rielaborata con un gusto per la violenza e lo splatter che alla lunga me lo fa preferire a molte cose del buon Stephen. Sarà quell'atmosfera "anni '80" che mi ha fatto tornare in mente i vecchi film che davano su ItaliaUno durante "Notte Horror", oppure il non censurarsi nelle scene di squartamenti o uccisioni, sarà lo stile semplice ma diretto che non lascia spazio a pause di sorta o le trame che, lungi dall'esser capolavori, scorrono però liscie e coerenti, fatto è che Keene secondo me fa centro con poche frecce al suo arco, perché sa scoccarle bene. Keene scrive per gli appassionati del genere e non vuol essere mainstream a tutti i costi, se ne sbatte di creare capolavori e per questo ha successo. Del resto sa scrivere, e non gli mancano le basi per rielaborare a suo modo argomenti che potrebbero apparire, in mani meno capaci, triti e ritriti. Con pochi elementi mette su storie che si lasciano leggere con piacere e soddisfano chi nell'horror cerca il sangue, le budella esposte e qualche momento di tensione, lasciando ad altri il compito di avventurarsi oltre le ancora inesplorate frontiere della letteratura "di paura". Questa opinione è naturalmente basata sui due libri di Keene che ho letto finora, e non è detto che non possa cambiare quando ne leggerò altri. Ma per ora parliamo, per iniziare di Urban Gothic.




Trama:
Di ritorno da un concerto, alcuni teenagers bianchi, ricchi e di buona famiglia, naturalmente strafatti e ubriachi, si ritrovano di notte con l'auto in panne in un quartiere abitato da neri poveri e più o meno delinquenti. Ne nasce una caciara che porterà i ragazzi a rifugiarsi all'interno di una vecchia casa che sembra abbandonata, ma che invece abbandonata non è, essendo invece abitata da un gruppo di mutanti cannibali che inizia a braccarli con l'intento di cucinarli per cena. La casa, scopriremo ben presto, funziona come una vera e propria trappola, con porzioni che scorrono su se stesse e passaggi che scompaiono, tagliando ogni via di fuga ai protagonisti i quali uno a uno vengono massacrati come agnelli al mattatoio. In questa prigione infernale i ragazzi bianchi e quelli neri si ritrovano gomito a gomito e devono fare fronte comune per sopravvivere, le differenze sociali e razziali si annullano e l'unico scopo diventa andare avanti a ogni costo. Ma una cosa sarà chiara ben presto: da lì non si può uscire, e l'unica cosa che resta da fare e cercare di restare vivi il più a lungo possibile, sperando che l'alba porti una salvezza che, man mano che si avanza nel libro, assume sempre più i tratti di una chimera irraggiungibile.

La trama è tutta qui. Il resto sono teste sfasciate, corpi smembrati, torture, mostri e depravazioni varie. Se splatter dev'essere splatter sia, sembra dire Keene, e allora via con la mattanza in puro stile survival horror, dove in ogni scena sappiamo che qualcuno ci rimetterà le penne, nessun limite all'immaginazione malata è consentito. Da applausi il gigante microcefalo che se ne va in giro con un martello da mezzo quintale e, dopo aver ucciso le sue vittime, le "marchia" con una forma di violenza che non augureremmo nemmeno al nostro peggiore nemico. Una sorta di Le colline hanno gli occhi concentrato all'interno di un'abitazione, claustrofobioco e serrato nel ritmo sebbene tutt'altro che innovativo nella trama. La tensione c'è, garantita da ogni porta che cigola rivelando stanze pregne di nuovi orrori, da ogni scalinata che si inabissa in seminterrati bui e infestati di mostri, da ogni tentativo di fuga che finisce inesorabilmente per fallire davanti all'organizzazione dei mutanti che agiscono come un gruppo di cacciatori perfettamente addestrati. Keene si diverte a mostrarci l'inesorabilità del destino degli esseri umani davanti a forze sconosciute e assolutamente incomprensibili, preoccupandosi di concentrarsi più sull'azione che sulla trama in sè, e per questo finendo per lasciare incolmate alcune lacune (in primis dialoghi e caratterizzazione dei personaggi), che però risultano sopportabili se al libro non si chiede più che qualche ora di puro intrattenimento.
Ora invece parliamo di Ghoul.



Trama:
La scuola è finita e Timmy sa che questa estate sarà fantastica. Doug e Barry, i suoi migliori amici, hanno dodici anni come lui, ma non la sua fortuna. Le loro situazioni familiari sono tutt'altro che rosee, ma insieme i tre ragazzini riescono a fuggire dalle brutture del mondo e ricrearsi un universo dove danno vita alle storie dei fumetti che leggono, dei cartoni animati che guardano e alle avventure che essi stessi inventano. Siamo negli anni '80 e la cittadina di provincia dove vivono è un immenso campo da gioco per loro, gli adulti e i bulli della scuola sono i nemici giurati e il loro covo segreto, scavato in profondità all'interno della terra del cimitero, è il segreto che custodiscono più gelosamente.
Ma quell'estate non sarà divertente. Non sarà tranquilla, anzi, li segnerà per sempre. Nello stesso cimitero dove giocano e sognano di essere eroi medievali, cavalieri spaziali o personaggi degli albi Marvel, qualcosa si è risvegliato. Qualcosa costretto a nutrirsi di cadaveri per un'eternità che ora ha deciso di provare il gusto della carne fresca e del sangue caldo, di sfidare il comandamento che lo teneva prigioniero nei meandri del sottosuolo, di riprodursi e allevare la sua progenie. Timmy, Barry e Doug saranno gli unici a combattere il ghoul, il divoratore di corpi morti, e il prezzo che pagheranno li accompagnerà per il resto delle loro esistenze. L'estate tanto aspettata segnerà la fine della loro infanzia, proiettandoli in un incubo dal quale solo a fatica, e non senza cicatrici, riusciranno a tirarsi fuori.

Ottimo romanzo horror con un piacevolissimo taglio alla Stand by me, è qui che vediamo come Keene sia debitore di alcune ambientazioni e atmosfere kingiane e le rielabori secondo la sua personale impostazione. L'estate, l'adolescenza spensierata in cui tutto è un'avventura, i bulli, l'esplorazione, il difficile rapporto con i "grandi", c'è molta carne al fuoco qui oltre all'horror. Apprezzabilissimo, e tutt'altro che secondario nel libro, il focus sulle situazioni familiari dei tre ragazzi. Doug vive con una madre mentalmente disturbata che da quando il marito l'ha mollata per una cameriera lo sottopone a morbose attenzioni, Barry ha un padre alcolizzato e violento, Timmy sembra vivere nella famiglia perfetta ma con l'andare della storia vedrà crollare questa bugia. Keene insiste molto su questo aspetto finendo per tratteggiare molto bene i tre piccoli protagonisti e i loro parenti, riuscendo a fare un lavoro in questo senso di molto superiore al libro trattato in precedenza. Se in Urban Gothic assistevamo alla morte dei personaggi senza troppa partecipazione, in Ghoul ci scopriamo a trattenere il fiato con loro e a sperare che la scampino, ci rattristiamo per le loro sfortune e piangiamo e ridiamo con loro mano a mano che il romanzo procede. Si tratta di una storia di formazione in cui il ghoul è più che altro una figura di sfondo, metaforica se vogliamo, il simbolo orribile di ciò che all'improvviso irrompe nell'idillio spensierato dell'adolescenza cancellando per sempre ciò che da ragazzini siamo portati a pensare possa durare in eterno. C'è molta meno violenza in questo romanzo, ma di certo quella che c'è è ben descritta. Keen si concentra più sulla storia e sui personaggi, sui rapporti e sui sentimenti, lasciando che la trama principale proceda senza fretta, fino al finale tutt'altro che sorprendente ma conunque coerente con un libro del genere. Consigliato.

Finito. È domenica, il tempo fa schifo e tra una settimana a quest'ora sarò quasi in Italia. I casini, quelli per oggi cercherò di dimenticarli, sperando che le cose migliorino. Dopotutto non ci sono mutanti in casa e il più vicino cimitero dista parecchi chilometri. Dovrei essere al sicuro.
Forse.
A patto che quei gatti che mi seguono di sera in realtà non stiano tramando qualcosa alle mie spalle. 
Ce n'è giusto uno sotto la finestra che mi guarda. 
E chi è quella vecchia affacciata alla finestra di fronte che mi guarda con un sorriso malevolo?
Ci penserò dopo, ora devo pagare l'affitto. I passi sulle scale e il rumore di una motosega mi dicono che il padrone di casa è arrivato, e che questo mese non accetterà pagamenti rateizzati.