In 'sto periodo non ho tempo. Non ho
tempo per scrivere questo blog, scrivere il romanzo
horror/trash/storico/mashup/splattergore che ho iniziato, scrivere
negli spazi bianchi di un modulo che devo inviare all'ambasciata per
dirgli che le mie tasse le pago già in Irlanda e che col cazzo che
le pagherò anche in Italia. Ci provano, loro, a tassarti il lavoro
all'estero, ché per fare cassa va bene tutto.
Non ho tempo per cucinarmi un pranzo
decente, per pulire casa, non ho tempo per trovarmi una ragazza né
per comprarmi i vestiti, ho poco tempo per leggere e meno ancora per
guardare serie TV. Non ho tempo per un cacchio di niente, eppure
trovo il tempo per tutto. Dormendo lo stretto necessario, mangiando
il tanto che basta e capitalizzando al massimo i giorni liberi riesco
a scavarmi nicchie di prezioso tempo libero per portare avanti le mie
passioni e concedermi i piaceri che distinguono il lavorare per
vivere dal vivere per lavorare, così che quando me ne vado a letto
non sono quasi mai insoddisfatto della giornata trascorsa. Cazzo, se
ne avevo di tempo libero in Italia. Però non lo sfruttavo bene come
adesso. Non era qualcosa che avesse un valore, perché era troppo.
Adesso è diverso. Ed è meglio. Adesso ogni pagina scritta, ogni
capitolo letto, ogni puntata guardata e ogni birra bevuta acquistano
uno spessore diverso, non è facile spiegarlo ma è così. Bene,
questo per dire che non ho tempo. Ma chi ce l'ha? Nessuno. E allora
basta, parliamo d'altro.
A voi sociopatici che leggete questo
blog oggi voglio consigliare qualcosa di diverso dal solito
ammazza/scopa/vai avanti, vi voglio parlare di Rectify. Si tratta
della prima serie prodotta dall'americana Sundance TV, creata da Ray
McKinnon e trasmessa finora in due stagioni. Una serie statunitense
atipica, di sicuro valore, perfetta per un intermezzo “serio” tra
la prima stagione di Z Nation e l'ultima di Hell on Wheels.
Rectify segue le vicende di Daniel
Holden (interpretato dal bravo Arden Young), che all'età in cui i
teenager normali fumano le prime canne e si preparano per il college
viene ficcato nel braccio della morte con la condanna infamante di
aver violentato e ucciso Hanna, la sua fidanzatina. In carcere,
attendendo l'esecuzione, Daniel ci passa diciannove anni, fino al
giorno in cui il suo avvocato riesce a ribaltare la sentenza e a
farlo tornare libero. È un
momento di gioia, ma il difficile arriva adesso. Daniel ha omai
quarant'anni e ha perso il contatto con la realtà, il mondo fuori
dalla galera è andato avanti senza di lui. Sono cambiati la
tecnologia, l'abbigliamento, il modo di intendere i rapporti sociali.
Daniel deve recuperare diciannove anni di nulla, scrollarsi di dosso
gli orrori visti in carcere, fare i conti con un passato che non
ricorda del tutto e spaccare il guscio di cui ha ricoperto i suoi
sentimenti per non impazzire.
Non
finisce qui. Non può essere così facile. Daniel torna alla sua casa
nella cittadina di Paulie, in Georgia, dove tutti si ricordano di lui
e dove molti avrebbero preferito vederlo morire nella camera a gas.
Alcuni sono genuinamente convinti che sia il colpevole di
quell'omicidio, altri di un colpevole hanno bisogno per mettere a
tacere il passato o costruirsi una carriera politica. Daniel finisce
nelle mire di molti nemici: l'ambiguo Trey (Sean Bridges), che
nasconde un aberrante segreto, il meschino senatore Foulkes (Michael
O'Neil) che ha fondato la sua scalata al potere sulla sua accusa di
colpevolezza, il fratellastro Ted Junior (Clayne Crawford) che è
geloso di tutte le attenzioni riservategli. Ben presto diventerà
chiaro che a Paulie, quella notte di diciannove anni fa, è successo
qualcosa di orribile, ma la verità sarà dura da riportare a galla,
anche perché Daniel è più interessato a riprendersi la sua vita
che a rivangare il passato.
Daniel Holden. Un personaggio che, come i suoi familiari, faremo fatica a comprendere a causa dei suoi silenzi e della sua incapacità di relazionarsi col prossimo, salvo poi affezionarci inevitabilmente a lui
Rectify
è una storia di rinascita. Faticosa, lenta, dolorosa rinascita.
Daniel è un deficiente emozionale. Il braccio della morte lo ha
lasciato incapace di esprimere ciò che prova, e questo non lo aiuta
nel ricostruire i rapporti con la sua famiglia. La madre Janet (una
bravissima Jean Smith Talbot, che si rilancia dopo quella cagata di
True Blood) , che dopo la morte del primo marito si è risposata, lo
ama più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non sa come prenderlo.
Il patrigno Ted (Bruce McKinnon) è un gran brav'uomo, ma non ha idea
di come trattare questa specie di bambinone dallo sguardo sperduto.
Ma è nel rapporto con sua sorella minore Amantha (una strepitosa
Abigail Spencer) che questo sofferto percorso di ritorno alla vita
tocca il punto più alto. Immaginate una bambina che si vede portare
via il fratello maggiore dalla polizia, con l'accusa di essere un
assassino, e che cresce nel suo mito, il mito di questo ragazzo che
sa di amare ma che in realtà non ha mai conosciuto. Amantha ha speso
gli ultimi diciannove anni in una lotta senza tregua per liberare
Daniel, e ora che lui è tornato lo difende dalle maldicenze e dagli
assalti dela cittadina con la fierezza di una leonessa che darebbe la
vita per i suoi cuccioli. Ma Amantha è anche una persona fragile e
piena di insicurezze, e non le risulta facile continuare a combattere
ora che Daniel è lì, ora che suo fratello non è più un'idea
astratta da cullare nella sua mente, ma un essere umano pieno di
problemi che a malapena parla e non sembra in grado di manifestare
alcun sentimento. Un plauso a Abigail Spencer, una gran prova in
questa serie TV.
Brava e bella, Abigail
Rectify
è anche una denuncia della pena di morte. Lo svolgersi degli eventi
presenti è alternata da flashbacks della vita di Daniel nel braccio
della morte, ed è qui che capiamo come il ragazzo abbia dovuto
costruirsi un'armatura di insensibilità per evitare di spezzarsi, di
cedere sotto il peso di una vita che in realtà non è
vita, ma mero susseguirsi di giorni inutili tutti uguali a se stessi.
Il braccio della morte ti fa questo: non è la camera a gas il
peggio, è l'attesa. I mesi e gli anni che passano con la
consapevolezza che la fine è già scritta sono qualcosa che ti
uccide lentamente mentre sei ancora vivo, fino a quando l'esecuzione
ti appare come un dono, una liberazione da un'esistenza inutile e
grottesca. Daniel ne passa tante in carcere, ma riesce a non cedere.
Aiutato dal galeotto Kerwin (Johnny Ray Gill) fa in modo di ricrearsi
un mondo all'interno della propria mente dove l'orrore del carcere
non può raggiungerlo, trova in se stesso la forza per non uccidersi,
non impazzire, non rifugiarsi nella facile scappatoia dei farmaci che
fanno dormire. Ne esce più forte, ma totalmente disadattato. Rectify
è la storia di come tornerà a essere un uomo dopo che la legge, la
sfortuna e il destino hanno ucciso il ragazzino che era.
Consiglio
questa serie a chi vuole riflettere ed emozionarsi, a chi un po' si è
stufato delle molte serie TV incentrate sull'azione e cerca un
diversivo non banale. Una serie dal ritmo non certo frenetico, dove a
farla da padrone sono i dialoghi e i rapporti tra i personaggi, ma
non priva di mordente grazie soprattutto al mistero della morte di
Hanna che pian piano si dipana gettando ombre sporche sulla facciata
di perbenismo della cittadina in cui Daniel vive. Rectify è alla
soglia della terza stagione, ed è una serie TV onesta e pregna di
significati, densa di umanità e capace di evitare stucchevoli
sentimentalismi grazie a una sceneggiatura e una costruzione dei
personaggi che predilige il realismo delle relazioni umane alla
lacrima facile a tutti i costi. Bello, diverso, per certi versi
poetico. Un piccolo gioiellino, sperando che sia solo l'inizio di una
fruttuosa serie di produzioni della Sundance.
Alla prossima, gente. Ci rileggiamo appena ho un po' di tempo.
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