giovedì 5 marzo 2015

Rectify - Una storia di rinascita

In 'sto periodo non ho tempo. Non ho tempo per scrivere questo blog, scrivere il romanzo horror/trash/storico/mashup/splattergore che ho iniziato, scrivere negli spazi bianchi di un modulo che devo inviare all'ambasciata per dirgli che le mie tasse le pago già in Irlanda e che col cazzo che le pagherò anche in Italia. Ci provano, loro, a tassarti il lavoro all'estero, ché per fare cassa va bene tutto.

Non ho tempo per cucinarmi un pranzo decente, per pulire casa, non ho tempo per trovarmi una ragazza né per comprarmi i vestiti, ho poco tempo per leggere e meno ancora per guardare serie TV. Non ho tempo per un cacchio di niente, eppure trovo il tempo per tutto. Dormendo lo stretto necessario, mangiando il tanto che basta e capitalizzando al massimo i giorni liberi riesco a scavarmi nicchie di prezioso tempo libero per portare avanti le mie passioni e concedermi i piaceri che distinguono il lavorare per vivere dal vivere per lavorare, così che quando me ne vado a letto non sono quasi mai insoddisfatto della giornata trascorsa. Cazzo, se ne avevo di tempo libero in Italia. Però non lo sfruttavo bene come adesso. Non era qualcosa che avesse un valore, perché era troppo. Adesso è diverso. Ed è meglio. Adesso ogni pagina scritta, ogni capitolo letto, ogni puntata guardata e ogni birra bevuta acquistano uno spessore diverso, non è facile spiegarlo ma è così. Bene, questo per dire che non ho tempo. Ma chi ce l'ha? Nessuno. E allora basta, parliamo d'altro.



A voi sociopatici che leggete questo blog oggi voglio consigliare qualcosa di diverso dal solito ammazza/scopa/vai avanti, vi voglio parlare di Rectify. Si tratta della prima serie prodotta dall'americana Sundance TV, creata da Ray McKinnon e trasmessa finora in due stagioni. Una serie statunitense atipica, di sicuro valore, perfetta per un intermezzo “serio” tra la prima stagione di Z Nation e l'ultima di Hell on Wheels.

 
Rectify segue le vicende di Daniel Holden (interpretato dal bravo Arden Young), che all'età in cui i teenager normali fumano le prime canne e si preparano per il college viene ficcato nel braccio della morte con la condanna infamante di aver violentato e ucciso Hanna, la sua fidanzatina. In carcere, attendendo l'esecuzione, Daniel ci passa diciannove anni, fino al giorno in cui il suo avvocato riesce a ribaltare la sentenza e a farlo tornare libero. È un momento di gioia, ma il difficile arriva adesso. Daniel ha omai quarant'anni e ha perso il contatto con la realtà, il mondo fuori dalla galera è andato avanti senza di lui. Sono cambiati la tecnologia, l'abbigliamento, il modo di intendere i rapporti sociali. Daniel deve recuperare diciannove anni di nulla, scrollarsi di dosso gli orrori visti in carcere, fare i conti con un passato che non ricorda del tutto e spaccare il guscio di cui ha ricoperto i suoi sentimenti per non impazzire.



Non finisce qui. Non può essere così facile. Daniel torna alla sua casa nella cittadina di Paulie, in Georgia, dove tutti si ricordano di lui e dove molti avrebbero preferito vederlo morire nella camera a gas. Alcuni sono genuinamente convinti che sia il colpevole di quell'omicidio, altri di un colpevole hanno bisogno per mettere a tacere il passato o costruirsi una carriera politica. Daniel finisce nelle mire di molti nemici: l'ambiguo Trey (Sean Bridges), che nasconde un aberrante segreto, il meschino senatore Foulkes (Michael O'Neil) che ha fondato la sua scalata al potere sulla sua accusa di colpevolezza, il fratellastro Ted Junior (Clayne Crawford) che è geloso di tutte le attenzioni riservategli. Ben presto diventerà chiaro che a Paulie, quella notte di diciannove anni fa, è successo qualcosa di orribile, ma la verità sarà dura da riportare a galla, anche perché Daniel è più interessato a riprendersi la sua vita che a rivangare il passato.

 Daniel Holden. Un personaggio che, come i suoi familiari, faremo fatica a comprendere a causa dei suoi silenzi e della sua incapacità di relazionarsi col prossimo, salvo poi affezionarci inevitabilmente a lui



Rectify è una storia di rinascita. Faticosa, lenta, dolorosa rinascita. Daniel è un deficiente emozionale. Il braccio della morte lo ha lasciato incapace di esprimere ciò che prova, e questo non lo aiuta nel ricostruire i rapporti con la sua famiglia. La madre Janet (una bravissima Jean Smith Talbot, che si rilancia dopo quella cagata di True Blood) , che dopo la morte del primo marito si è risposata, lo ama più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non sa come prenderlo. Il patrigno Ted (Bruce McKinnon) è un gran brav'uomo, ma non ha idea di come trattare questa specie di bambinone dallo sguardo sperduto. Ma è nel rapporto con sua sorella minore Amantha (una strepitosa Abigail Spencer) che questo sofferto percorso di ritorno alla vita tocca il punto più alto. Immaginate una bambina che si vede portare via il fratello maggiore dalla polizia, con l'accusa di essere un assassino, e che cresce nel suo mito, il mito di questo ragazzo che sa di amare ma che in realtà non ha mai conosciuto. Amantha ha speso gli ultimi diciannove anni in una lotta senza tregua per liberare Daniel, e ora che lui è tornato lo difende dalle maldicenze e dagli assalti dela cittadina con la fierezza di una leonessa che darebbe la vita per i suoi cuccioli. Ma Amantha è anche una persona fragile e piena di insicurezze, e non le risulta facile continuare a combattere ora che Daniel è lì, ora che suo fratello non è più un'idea astratta da cullare nella sua mente, ma un essere umano pieno di problemi che a malapena parla e non sembra in grado di manifestare alcun sentimento. Un plauso a Abigail Spencer, una gran prova in questa serie TV.



Brava e bella, Abigail 
 
Rectify è anche una denuncia della pena di morte. Lo svolgersi degli eventi presenti è alternata da flashbacks della vita di Daniel nel braccio della morte, ed è qui che capiamo come il ragazzo abbia dovuto costruirsi un'armatura di insensibilità per evitare di spezzarsi, di cedere sotto il peso di una vita che in realtà non è vita, ma mero susseguirsi di giorni inutili tutti uguali a se stessi. Il braccio della morte ti fa questo: non è la camera a gas il peggio, è l'attesa. I mesi e gli anni che passano con la consapevolezza che la fine è già scritta sono qualcosa che ti uccide lentamente mentre sei ancora vivo, fino a quando l'esecuzione ti appare come un dono, una liberazione da un'esistenza inutile e grottesca. Daniel ne passa tante in carcere, ma riesce a non cedere. Aiutato dal galeotto Kerwin (Johnny Ray Gill) fa in modo di ricrearsi un mondo all'interno della propria mente dove l'orrore del carcere non può raggiungerlo, trova in se stesso la forza per non uccidersi, non impazzire, non rifugiarsi nella facile scappatoia dei farmaci che fanno dormire. Ne esce più forte, ma totalmente disadattato. Rectify è la storia di come tornerà a essere un uomo dopo che la legge, la sfortuna e il destino hanno ucciso il ragazzino che era.



Consiglio questa serie a chi vuole riflettere ed emozionarsi, a chi un po' si è stufato delle molte serie TV incentrate sull'azione e cerca un diversivo non banale. Una serie dal ritmo non certo frenetico, dove a farla da padrone sono i dialoghi e i rapporti tra i personaggi, ma non priva di mordente grazie soprattutto al mistero della morte di Hanna che pian piano si dipana gettando ombre sporche sulla facciata di perbenismo della cittadina in cui Daniel vive. Rectify è alla soglia della terza stagione, ed è una serie TV onesta e pregna di significati, densa di umanità e capace di evitare stucchevoli sentimentalismi grazie a una sceneggiatura e una costruzione dei personaggi che predilige il realismo delle relazioni umane alla lacrima facile a tutti i costi. Bello, diverso, per certi versi poetico. Un piccolo gioiellino, sperando che sia solo l'inizio di una fruttuosa serie di produzioni della Sundance.


Alla prossima, gente. Ci rileggiamo appena ho un po' di tempo.  

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