giovedì 12 marzo 2015

"Blindness" di José Saramago

Ci sono delle cose in ballo, ed è un bene. Cose in ballo nella mia vita che si svolge nel mondo fuori, coinvolgendo gli altri esseri umani, e in quella che continua nella mia testa, le solitarie speculazioni e battaglie contro i mulini a vento e sogni e seghe mentali che danno all'esistenza un motivo per essere portata avanti. Ne parlerò forse più in là, per ora voglio solo dire che va bene così. Mi ero posto degli obbiettivi, pian piano alcuni sono in via di raggiungimento, altri sono solo in embrione ma con il tempo potrebbero realizzarsi, io non ho fretta. La fretta non è mai una buona amica, bisogna fare le cose un passo alla volta. 





Una delle cose di cui sono contento è che sono tornato a leggere parecchio. Leggo libri horror e libri thriller, libri brutti e libri fantstici, libri che nessuno conosce e libri che sono dei classici senza tempo che ognuno, nella sua vita, dovrebbe leggere per provare emozioni, riflettere, arricchirsi un po' dentro perché sono dei piccoli tesori. Uno dei libri appartenenti a quest'ultima categoria è Blindness (Cecità nella versione italiana), del premio Nobel José Saramago. Saramago risulta subito simpatico per il fatto di non aver peli sulla lingua; dall'alto di una cultura sopra la media e di un'esperienza consolidata nello studiare i fenomeni dell'esistenza umana non ha remore nell'emettere duri giudizi sul mondo contemporaneo e non gliene frega nulla di restare in una posizione neutra, piuttosto dice quello che pensa. Ecco un estratto di una sua intervista rilasciata nel 2009 a El Pais, intitolata "La cosa Berlusconi":

"Non vedo come al­tri­menti la po­trei chia­mare. Una cosa pe­ri­co­losa, una cosa che or­ga­nizza fe­ste e orge. Que­sta cosa, que­sta ma­lat­tia, que­sto vi­rus mi­nac­cia di co­sti­tuirsi come la morte mo­rale del paese di Verdi se un ri­gur­gito pro­fondo non verrà dalla co­scienza de­gli Ita­liani prima che il ve­leno non cor­rompa le vene e non atro­fizzi il cuore di uno dei paesi eu­ro­pei più ric­chi di cultura."

 Mitico, José! Purtroppo sono passati sei anni e siamo messi peggio di prima...

Blindness è forse il romanzo più celebre di Saramago, ed è un romanzo che va letto. La trama, semplice quanto funzionale all'intento dell'autore, è questa: un giorno, senza alcuna ragione apparente, l'umanità diventa cieca. Si tratta di una cecità strana, totalmente bianca, che si stende davanti alle palpebre di chi ne è colpito come un'alba eterna. Il governo non sa assolutamente cosa fare e reagisce nell'unico modo che da sempre conosce: la repressione. I ciechi vengono internati in prigioni e altri luoghi atti alla detenzione mentre l'epidemia si propaga, con il passare del tempo anche gli esponenti delle istituzioni perdono la vista e il mondo precipita nel caos assoluto. La lotta per la sopravvivenza regredisce ai livelli della preistoria e i più elementari principi morali si sciolgono come neve al sole di fronte alle più pressanti necessità del corpo. Il romanzo segue le vicende di un gruppo di ciechi, tra i primi a essere colpiti dal "Male Bianco": c'è il primo uomo a essere divenuto cieco, c'è un vecchio con una benda sull'occhio, c'è un oculista, ci sono una bellissima prostituta e un ragazzino che ha perso la madre. Tutti sono guidati dalla moglie dell'oculista, unica superstite alla cecità, l'unico paio d'occhi ancora funzionanti in tutto il pianeta.


Prima osservazione: lo stile e la forma. Saramago se ne sbatte abbastanza delle convenzioni strutturali in letteratura, utilizzando un dialogo che definire "libero" è ancora poco. Le frasi dei protagonisti non sono segnate da virgolette né separate dagli "a capo", fluiscono nel testo assieme al resto e sono solo delimitate da virgole e lettere maiuscole. Conferiscono ai dialoghi una natura caotica, incalzante, convulsa, come se il parlare dei ciechi fosse diverso da quello di chi ci vede. Come se i ciechi avessero perduto la capacità di riconoscere le pause, le intonazioni, le regole stesse dell'atto comunicativo. Eppure sono dialoghi che possiedono una carica emotiva fortissima, spesso poche parole ci svelano un aspetto fino ad allora sconosciuto di un personaggio, ce lo fanno vedere sotto una luce differente e amare di più. Non ci sono descrizioni fisiche in Blindness: il corpo non ha più alcuna importanza in un mondo di ciechi, ognuno è diventato la propria voce, null'altro. Udito, tatto, gusto e olfatto devono sostituire la vista, il senso forse più immediato e importante nell'esistenza umana. 

La perdita della vista è la perdita della capacità di essere umani. Blindness è la storia della fine della civiltà, raccontata in una città senza nome attraverso le vicende di personaggi senza tratti somatici, identificati non per il loro nome proprio ma solo attraverso aggettivi e sostantivi (Il Primo Cieco, Il Vecchio con la Benda, Il Ragazzino Strabico, La Moglie Dell'Oculista ecc.). Lenta, ineluttabile, tragica, quest'Apocalisse procede spazzando via i corpi e le anime delle persone, conducendole a una morte miserabile, ma non prima di averle private della loro stessa umanità. Nel manicomio dove i protagonisti saranno rinchiusi assistiamo a ogni genere di violenza e atto aberrante: presa coscienza della loro condizione, intrappolati in un luogo presidiato da soldati terrorizzati dal contatto con questa misteriosa malattia che sembra trasmettersi se anche solo un cieco posa su di te gli occhi, i malati si abbandonano ai più bassi istinti. Il concetto di igiene è uno dei primi a cadere, poi vengono quelli della solidarietà e del rispetto, fino ad arrivare inevitabilmente all'indifferenza nei confronti della sacralità stessa della vita. Il cibo, solo questo importa. Per il cibo si uccide, per il cibo si ruba, e chi possiede il cibo può dettare legge, può decidere cosa chiedere in cambio, come un re con i propri sudditi. 

Si tratta di un'escalation di violenza, soprusi e situazioni disgustose al limite del sopportabile, roba mille volte più sconvolgente di qualsiasi romanzo zombie. Gli odori nauseabondi di cessi tappezzati di merda e urina vi condurranno attraverso corridoi in cui giacciono cadaveri dimenticati che marciscono poco a poco, mentre i ciechi si muovono come ragni disorientati lungo il bordo dei muri, nel tentativo di ritrovare la strada per la camerata in cui sono internati. 

La paura regna sovrana: paura di morire di fame, paura di essere uccisi per un tozzo di pane, paura dei soldati di venire contagiati, cui reagiscono sparando a vista a qualsiasi cieco. La paura annichilisce ogni altro sentimento, scatena la violenza, riduce l'uomo a una bestia che per timore d'essere sopraffatta attacca, oppure paralizza i più deboli condannandoli a morte certa. Tutti hanno paura in questo libro, anche quelli che sembrano detenere un qualche potere non sono che una manifestazione differente di un terrore a cui non si può sfuggire, il terrore di chi ha perso la vista e sa che là fuori non c'è più nessuno che possa fare qualcosa, perché tutti, uno dopo l'altro, stanno diventando ciechi. 

In questo inferno i protagonisti sono gli unici a cercare di restare umani. Provano a organizzarsi, seppelliscono i loro morti, razionano il cibo. A guidarli, come fossero bambini o minorati mentali, è la moglie dell'oculista, l'unica in grado di vedere. La moglie dell'oculista è il martire che si immola sull'altare del sacrificio (fisico, morale e spirituale) per permettere agli altri di continuare a vivere, fosse anche solo per un altro giorno. Eroica, non ci sono altre parole. Soffre più di chiunque altro, si abbassa a umiliazioni innominabili, rischia la vita più volte solo perché sente che è giusto, che la sua condizione privilegiata (la sua maledizione) le ha conferito la responsabilità di doversi occupare di suo marito e degli altri. Non cederà, nemmeno quando il gruppo sarà ridotto a un pugno di individui scheletrici, puzzolenti, sporchi e sconfitti nella mente e nel corpo dal prolungato digiuno. Grazie alla sua vista, che più volte si pentirà di aver conservato per lo scherzo crudele di un Dio cui ormai nessuno più crede, sarà testimone della morte degli innocenti e ei colpevoli, delle brutalità più efferate che si possano immaginare, vedrà il sesso passare da rimedio contro la disperazione a mera merce di scambio, per poi tornare a essere espressione di un amore che nonostante tutto, come un filo d'erba nel ghiaccio, continua a esistere. Sarà la moglie dell'oculista a pagare il prezzo più alto, nel libro. Morire dentro, e vivere nonostante tutto per una missione che nessuno le ha affidato, decisa fino all'ultimo a proteggere gente che a stento conosce e che è comunque condannata a morire. 

Blindness vi potrà deludere nel finale se siete di quelli che cercano la spiegazione. Il romanzo segue solo in parte la struttaura classica della fabula (rottura dell'equilibrio/complicazioni/scioglimento), ma vuole essere (ed è) uno sguardo sulla natura umana. La cecità è un espediente utilizzato da Saramago per scandagliare gli aspetti migliori e quelli peggiori del nostro essere più intimo, quelli che vengono a galla solo in situazioni estreme, che ci portano a rivelarci per gli animali che siamo. In questo, Blindness è un capolavoro, un disperato atto d'accusa contro la nostra natura abbietta e un appassionato grido d'amore verso il bene che nonostante tutto siamo in grado di attingere dai più reconditi recessi della nostra coscienza perfino quando ogni speranza si è spenta. Un libro da leggere senza se e senza ma, per riflettere su ciò che siamo e ciò che potremmo essere. Compratelo, divoratelo, conservatelo e poi rileggetolo di nuovo. Il Male Bianco potrebbe colpirvi domani, e allora avreste perso un'opportunità veramente preziosa. 


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