lunedì 15 giugno 2015

"El pintor de batallas" di Arturo Pérez Reverte

Rieccoci. Il blog non è morto. È solo che è il mio blog, ed essendo la mia vita soggetta a ritardi, impegni, orari fissi, sbalzi d'umore e cambi di interessi d'ogni tipo, ogni tanto viene lasciato da parte e deve aspettare, a volte pure per un mesetto. Non sono un blogger, non nel senso stretto del termine, quindi mi perdonerete, spero. Che poi se qualcuno 'sto blog lo legge io mica lo so, però lo scrivo lo stesso, via, se non altro per impratichirmi con la tastiera inglese del nuovo portatile.



Oggi parliamo di un libro, va'. Il libro me l'ha regalato un collega (grazie, Renato), l'ho letto in lingua spagnola e il titolo originale è El pintor de batallas (Il pittore di battaglie nell'edizione italiana). L'autore è il bravo e conosciuto Arturo Pérez Reverte, di cui ho apprezzato altri romanzi in passato.

Scrittore, giornalista, corrispondente di guerra, Pérez Reverte ha uno stile semplice, quasi "umile", che rifugge il "colpo a effetto" e i funambolismi stilistici, preferendo incentrarsi sul procedere della storia e la caratterizzazione dei personaggi, sempre attento alla coerenza storica di ciò che narra nei suoi romanzi, sovente ambientati in epoche passate. Questo è più o meno il suo marchio di fabbrica, ma in El pintor de battallas lo troviamo alle prese con un'analisi psicologica più profonda, uno scavare nell'animo del protagonista fino a metterne in luce gli aspetti che gli interessano.






La trama:

Ex-appassaionato di pittura, ex-fotografo di guerra pluriacclamato e pluripremiato, l'ambiguo, solitario e cinico Faulques si è ritirato a vivere in una torre diroccata che affaccia sul Mediterraneo, all'interno della quale sta dipingendo, solo per se stesso, un enorme affresco su muro che rappresenta la guerra. Si tratta di una battaglia che va oltre il tempo, in cui eserciti appartenenti a varie epoche storiche si massacrano in quella che, nella sua intenzione, deve essere la rappresentazione finale di quel che lui chiama "ordine del caos", la matematicità dello sterminio che come un'equazione innegabile trova da millenni la sua risoluzione nell'atto umano di uccidersi l'un l'altro. Faulques è tornato a dipingere dopo aver capito che la macchina fotografica non gli avrebbe mai permesso di cogliere quanto di brutalmente vero e perfetto c'è nella guerra, e ha deciso di riprendere in mano i pennelli per liberarsi da questa ossessione. Ma l'ha fatto anche per cercare di seppellire il ricordo di Olvido, la sua donna e collega fotografa, morta in circostanze tragiche mentre si trovava insieme a lui nei Balcani durante la guerra.

Faulques dipinge, nuota, va in paese a comprare provviste, fino a quando nella sua vita irrompe il croato Ivo Markovic. Si tratta di un ritorno dal passato, un volto da lui fotografato e subito dimenticato durante quella maledetta guerra che sembrava simile a tutte le altre, un volto che gli è pure valso un premio. Markovic è lì per uccidere Faulques, ma prima vuole capire alcune cose, vuole fargli alcune domande. Il romanzo, in circa trecento pagine e con soli due personaggi e mezzo (il "mezzo" è per Olvido, che conosciamo tramite i flashback di Faulques) racconta molte cose e mette parecchia carne al fuoco. 

Recensione:

"Questo libro è lento" ha detto Renato. "Non l'ho finito. Si perde in elucubrazioni, in voli pindarici, è tutto basato sui dialoghi e i flashback."

Da queste sue parole ho dedotto che il libro gli avesse maciullato i testicoli, cosa di cui il buon Peréz Reverte non sarebbe proprio contento, però l'ho preso e l'ho letto lo stesso, e alla fine sono rimasto soddisfatto. El pintor de batallas è un libro con un suo perché e molti significati, un libro che invita a riflettere sull'arte intesa come scopo ultimo e unico della vita, come ossessione che annichilisce ogni altro aspetto dell'uomo. Sì, è lento, ma vale la pena leggerlo. Vediamo perché.



Il protagonista, Faulques, è un nuon-uomo, uno che non vive, ma esiste. Esiste per portare a termine l'affresco e carpire anche solo per un attimo le geometrie nascoste del caos, e per farlo in gioventù si è donato anima e corpo alla più totale rappresentazione del caos stesso: la guerra. Ha visto e fotografato orrori indicibili senza battere ciglio, ha cercato l'inquadratura migliore mentre a pochi passi da lui prigionieri venivano torturati, giustiziati, umiliati prima che gli si togliesse la vita. Con Olvido sempre al suo fianco, è divenuto totalmente insensibile alla morte, al punto che questa sua condizione ha finito per uccidere la donna che amava (o che era convinto di amare). Faulques è un assassino e lo sa, anzi è peggio di un assassino; è un testimone di guerra con il biglietto di ritorno in tasca, uno che va sui luoghi degli eccidi come un guardone andrebbe nei parcheggi a spiare gli altri che scopano. Ha fotografato la morte come altri avrebbero fatto con un tramonto o un paesaggio marino, senza scomporsi, senza cambiare metodo neppure quando la tragedia lo ha toccato personalmente. L'affresco, le geometrie del caos, questo è ciò che conta, e anche quando Ivo Markovic arriva e gli racconta del dolore e delle perdite che ha subito per colpa sua non batte praticamente ciglio.



L'arte, la ricerca di essa, è una maledizione, sembra volerci dire Pérez Reverte. In Faulques vive l'archetipo dell'artista che cessa di essere umano nel momento in cui si sacrifica alla sua ricerca della creazione perfetta, un demone che trasforma la persona in mero attrezzo di carne atto a reggere un pennello, una penna, una macchina fotografica, uno strumento musicale. C'è una critica in questo, o sembra esserci; non si può fare arte in questo modo, non si può attraversare il mondo alla ricerca dell'epifania definitiva e scegliere di ignorare la vita, le storie e le persone che del mondo fanno parte e che quell'epifania contribuiscono a creare. Evitare di farsi coinvolgere, questa è la regola di Faulques. Anche nell'amore, perché l'artista deve mantenere il controllo sempre e comunque. È un perdente Faulques, uno che avrebbe fatto meglio a cercarsi un lavoro dalle nove alle cinque in qualche ufficio, perché tutti i premi vinti e tutte le guerre viste non sono riusciti a fargli capire nulla di quella atroce realtà che Markovic, fantasma di un conflitto disumano come pochi altri, gli sbatte in faccia fumando una sigaretta dopo l'altra mentre ricorda che alla fine della storia lo manderà a dormire coi vermi.



Markovic e Olvido sono i due fantasmi, appunto, che tentano di riportare Faulques indietro, fino alla sua umanità, alle emozioni che ha perso, fino a capire che si poteva e si può vivere diversamente. L'uno è vivo e gli parla di ciò che ha subito per colpa della foto che lui gli scattò, l'altra esiste ormai solo nella sua memoria ("Olvido" in spagnolo significa "oblio", ed è un nome fortemente ossimorico). Markovic e Olvido, parlando a Faulques da piani spaziali e temporali diversi, minano la sicurezza del pittore di battaglie fino a farlo vacillare, fino a fargli comprendere quanto inutile, sciocca, fine a se stessa sia stata la sua ricerca delle geometrie imperscrutabili del caos. L'arte ha un senso fino a quando è inserita nella società, nella vita, fino a quando è pensata e prodotta per essere apprezzata dagli altri. Diversamente, l'arte è masturbazione, ossessione, diventa una gran puttanata a cui nessuno crede più e alla quale nesuno si interessa, la bugia dell' "artista con una missione", dell' "artista totale". Markovic, un ex-meccanico costretto a combattere una guerra fratricida, uno che visto ogni tipo di orrore e subito ogni genere di violenza, spoglia Faulques di questi finti vestiti che s'è cucito addosso, lasciandolo nudo davanti alla sua pochezza prima della notte decisiva in cui i due, nel buio dei boschi intorno alla torre, si confronteranno per l'ultima volta.

Il finale sorprende, ed è assolutamente coerente con quello che Péerez Reverte vuole dirci in questo libro, che a esser lento è lento, ma per il resto è assolutamente meritevole.

Consigliato a chi ha voglia di qualcosa di diverso, e a quanti là fuori si considerano artisti. 

Un saluto. Il prossimo post, si spera, non sarà così lontano nel tempo.  







Nessun commento:

Posta un commento